Dopo oltre un mese dall’avvio delle proteste da parte degli agricoltori in tutta la regione è inevitabile riflettere su quale sia lo stato dei fatti e, soprattutto, su quali obiettivi siano stati al momento raggiunti. A tal proposito interessante è la posizione di Andrea Pettinari (nella foto) presidente di Confagricoltura Macerata e conduttore di una fra le maggiori aziende agricole provinciali.
Presidente Pettinari quale è la situazione dopo qualche settimana di manifestazioni?
“Non possiamo che ammirare, innanzi tutto, lo spirito di sacrificio e l’impegno che migliaia di imprenditori agricoli in tutta Italia stanno mettendo in queste adunate. Poi, al tempo stesso, dovremmo anche riflettere circa alcune questioni troppo spesso dimenticate. Un’azienda agricola per fare il suo mestiere si deve confrontare principalmente con tre elementi chiave:
1. –L’ambiente naturale e il contesto pedoclimatico in cui opera. Per questo c’è una scienza di cui non si può fare a meno e si chiama agronomia con la quale, insieme alla meccanica alla chimica e alla biologia, da sempre l’agricoltore cura e preserva per l’appunto quell’ambiente naturale senza il cui equilibrio non darebbe futuro al suo lavoro. Quindi, new deal, decreto salva natura e altri emendamenti vari non servono agli agricoltori.
2. –La Politica, chiaramente agricola. La stessa Unione Europea nasceva proprio per questo scopo, le materie prime sono infatti troppo strategiche per non essere governate con una politica attenta all’evolversi delle popolazioni che vivono negli stati membri. Poi, ovviamente, la democrazia europea prevede che i componenti del parlamento di Bruxelles vengano eletti in nostra rappresentanza. Se cinque anni fa la maggioranza relativa per condizionare il governo europeo l’hanno ottenuta i socialisti di sinistra e gli ambientalisti, che a mio avviso non conoscono la vera cultura imprenditoriale agricola, quale altro tipo di PAC ci saremmo potuti aspettare?!
3. –Il mercato locale italiano nonché quello europeo ed internazionale. Fattori, questi, sempre più influenti in un mondo sempre più globalizzato.
Ma ritiene che questa riflessione, apparentemente così chiara, sia realmente compresa dagli addetti del settore?
“Purtroppo, i fatti ci dicono di no, anzi. L’agronomia e le altre materie agricole se fossero sempre ben applicate, difficilmente avremmo un’agricoltura contestata e criticata come invece è ormai da tanti anni. La politica, poi, è l’elemento, secondo me, più complicato per noi agricoltori italiani dato che siamo divisi in tre/quattro sindacati. E tra l’altro si vocifera della nascita di altri ancora. Qui parte il mio dispiacere, e penso sia lo stesso per tanti altri rappresentanti di categoria, per non essere stati capaci di far capire che la protesta fuori dai sindacati rischia di diventare inutile e forse anche dannosa. Esempio lampante è quello di lunedì scorso quando, in occasione della riunione della Commissione agricoltura del Parlamento europeo, i sindacati italiani hanno mandato le loro rappresentanze a Bruxelles a protestare e a sfilare, chiaramente ognuno con i suoi colori e con le sue modalità. Ma la stessa Commissione si è talmente impressionata che ha approvato il decreto “salva natura”!”
Oltre al danno anche la beffa, in sostanza. Per quanto riguarda il terzo fattore da lei indicato invece?
“Relativamente al mercato abbiamo ben poco da aggiungere che non sia già molto evidente. Perché non abbiamo parlato di giusta retribuzione gli anni scorsi quando il grano ha viaggiato per più di due stagioni attorno i cinquanta euro e tutte le altre commodities sono state quotate a livelli alti? Perché noi agricoltori facciamo così fatica a partecipare alle varie filiere che ci vengono proposte o a “pagare” gli strumenti di protezione del prezzo che ogni tanto abbiamo, tipo casse comuni quali ammortizzatori del prezzo nei quali in pochi o nessuno hanno aderito o strumenti finanziari come i contratti di futures? Oppure vogliamo uscire dal libero mercato e reinserire i sistemi protetti ex AIMA con prezzi minimi e massimi? Noi siamo imprenditori e non vogliamo essere operatori/custodi ecologici assistiti”.
Quale può essere una risposta a tutte queste circostanze dunque?
“Noi gestiamo delle aziende a tutti gli effetti, delle imprese economiche che oggi non possono che prescindere dalle politiche e dal supporto proveniente dall’Europa. Ed è lì che dobbiamo farci ben rappresentare anche e soprattutto da un governo nazionale che invece di appiattirsi completamente sulle strategie sindacali molto emotive e colorate, dovrebbe farsi reale e “leale” portavoce anche di tutti gli altri agricoltori. Confagricoltura, ad esempio, rappresenta una grande superfice agricola nazionale ed associa le principali realtà imprenditoriali del settore. Ovviamente sarebbe semplice limitarsi a pensare che la nostra voce sia più che autorevole per affrontare la questione, ma probabilmente non è sufficiente. L’elemento principale emerso da queste proteste, a mio avviso, è che in tanti non si sentono adeguatamente rappresentati e sarebbe sbagliato arroccarsi sulle proprie posizioni ritenendosi superiori, come fanno alcuni, cercando uno scontro fra agricoltori. Quello che serve, ora più che mai, è proprio il confronto e la collaborazione fra tutte queste anime della protesta”.