Le lumache e le Marche, un rapporto stretto e sfizioso

Allevate anche nella nostra regione, sono un piatto tipico e protagonista di sagre
Attualità
di Veronique Angeletti

Non chiamatele lumache e il termine escargot lasciatelo ai francesi. Il loro nome è chiocciole e vanno affrontate nel piatto senza pregiudizi e smorfie. Cucinate alla marchigiana sono una vera e propria delizia e i suoi prodotti per la cosmesi sono un toccasana. Quanto all’economia, rappresentano un mercato cospicuo. Nel 2020, l’elicicoltura ha registrato un giro d’affari di 270 milioni di euro in costante aumento negli ultimi 10 anni. E ad oggi solo il 20% delle chiocciole consumate nel Bel Paese proviene da allevamenti italiani: l’80% sono chiocciole estere.

L’ultimo censimento racconta di 1194 aziende che danno lavoro ad 11 mila persone dove le Marche rappresentano il 2,1 %.

Intanto, il suo consumo è in crescita e, anche se il consumatore oggi ci si avvicina con cautela, rimane un cibo che fa parte della nostra storia. Prelibate nell’antica Roma per le loro virtù afrodisiache, le si allevavano con foglie di lauro, vino e crusca bollite e poi ricordano la grande conquista di Cartagine. Un soldato ghiotto, inseguendo delle chiocciole, avrebbe durante l’assedio, trovato il passaggio segreto. In seguito, ci furono i secoli bui dove le chiocciole furono declassate a “carne di magro” per il popolo finché in Francia, con la carestia dei primi anni dell’Ottocento, ritornarono al posto d’onore nei banchetti.

Forse in Italia, c’entra la scaramanzia. Cucinate e mangiate nella notte del solstizio d’estate, si dice che preservano dalla sfortuna e dal malocchio. Le corni, simbolo della discordia, si seppelliscono nello stomaco e consumate in abbondanza aiutano a scongiurare ogni disgrazia.

Ma ad aiutare al consumo di lumache è la scienza che ha di nuovo dato ragione al buon senso di una volta. Perché cotte con arte, le lumache hanno carni tenere e delicate e, versatili, vanno d’accordo con sughi semplici e elaborati, in umido e fritte. Inoltre, sono ben digeribili, magre, ricche di proteine, fonte di vitamine B12 e molto green. Gli allevamenti non hanno quasi nessun impatto ambientale.

Le chiocciole, tuttavia, rimangono un cibo per “intenditore” e di fatto sono poco presenti nei menù, ma prenotabili in quei luoghi dove il ben mangiare rima con la tradizione. Come ad Urbania, il paese dei lumaconi ossia dei mangiatori di lumache che, al cambio di stagione, appena sentono i tuoni, setacciano greppi e fossi. Oppure a Pierosara di Genga. dove vengono proposte con tanti aromi in umido e nel coccio. O infine a Sefro.

Che i marchigiani siano mangiatori di lumache lo confermano anche le sagre a loro dedicate. Nel 2024, quella di Montefortino d’Arcevia è giunta alla 32esima edizione, alla 40esima quella di Cancelli di Fabriano, 49esima a Sorbolongo (Sant’Ippolito) e alla 60esima quella di Pianello di Cagli.

Tags: allevamenti, chiocciole, in evidenza, lumache, piatti

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