L’operazione è tecnicamente riuscita ma il paziente, purtroppo, è morto. Questa espressione nota, ma perfettamente calzante, riesce meglio di tante altre parole a descrivere la situazione del settore zootecnico marchigiano. Un comparto un tempo strategico e che sarebbe ancora in grado di garantire occupazione e sviluppo, soprattutto nei terreni più marginali (che non si trovano solo in montagna), ormai abbandonato ad un lento declino.
I numeri in continuo calo, ed estremamente modesti, della consistenza zootecnia regionale (circa 40.000 capi nelle Marche contro gli oltre 50.000 della vicina -e ben più piccola- Umbria e gli oltre 180.000 del Lazio) avrebbero dovuto suggerire da tempo che la cura somministrata non stava dando i risultati sperati. Bandi su bandi per agevolare, innanzitutto, solo specifiche zone “svantaggiate”, prediligendo i micro-allevamenti da presepe, ma senza attenzione specifica per le grandi strutture che creano numeri ed occupazione.
Moltissima attenzione nel promuovere convegni, filiere mai partite o degustazioni in giro per il mondo delle specialità prodotte dai nostri animali, ma pochissimo interesse per gli aspetti pratici. Certamente tagliare il nastro all’ennesima fiera di paese, piena di gitanti provenienti dalla città ed attratti da un mondo rurale stereotipato, è cosa ben più allettante che inaugurare un nuovo mattatoio.
Purtroppo, però, per quei pochi allevatori rimasti se ci fossero fatte meno mostre/mercato ed evitata la chiusura di qualche macello sarebbe stato ben più utile. È inutile, infatti, incentivare la creazione di allevamenti quando per macellare un capo si è costretti a viaggiare per più di 50 km fra strade di montagna o statali altamente trafficate. Per non parlare del mattatoio dell’Università di Veterinaria di Matelica ancora non operante per mancanza del depuratore.
Si sarebbe potuto intervenire aiutando, negli anni di siccità, chi fa zootecnia davvero nell’acquistare fieno, magari tramite una filiera seria che incentivasse l’autoproduzione di foraggi o la vendita di questi dentro i confini regionali. Ciò avrebbe permesso di stroncare quel meccanismo folle per cui la nostra erba medica, anziché restare in zona, prende altre e ben più remunerate strade verso il nord Italia, se non addirittura l’estero.
Per non parlare, poi, di tutti quegli aspetti burocratici sempre più folli ed insostenibili secondo cui già solo movimentare un vitello di pochi giorni necessità di mezzi con decine di autorizzazioni diverse, corsi e patentini di ogni sorta per gli operatori e documenti digitalizzati ad ogni livello possibile.
L’elenco di quelle tante, piccole criticità emerse negli anni sarebbe ancora lunga, ma l’aspetto che dovrebbe fare più riflettere è la totale noncuranza nei confronti della situazione da parte degli organi decisionali. Anziché invertire nettamente la rotta si è preferito continuare su percorsi già tracciati, comodi ma assolutamente inefficaci.
L’ultimo, ed ennesimo, bando di supporto alla liquidità delle cooperative che si occupano di carni bovine ne è l’esempio. Con Decreto dirigenziale n. 155 del 13/12/2024 è stato infatti approvato un bando per la concessione di contributi per il sostegno alla “mancanza di liquidità” del settore zootecnico. Un palliativo, se pur blando, per gli agricoltori interessati?!? Assolutamente no. Sarebbe più corretto parlare di un mirato e ben studiato incentivo ad alcune realtà ben specifiche :200.000 euro la cifra messa a disposizione, ben poca cosa se rapportata alla totalità degli allevatori marchigiani, ma che diventa importante se calata nel bilancio della più modesta e selezionatissima platea dei beneficiari. Non serve cimentarsi in chissà quale complicata indagine e/o ragionamento per comprendere quali saranno i nomi (o forse sarebbe meglio dire il nome) della cooperativa destinataria di questo incentivo. Un graditissimo regalo di Natale (in burocratese tradotto in “pagamento di un aiuto una tantum”) che speriamo possa servire per risanare, anche per quest’anno, un bilancio affaticato.
E speriamo che serva anche a riportare gli allevatori, fra chi resiste, a conferire le proprie carni alla solita cooperativa tanto amata dai politici di tutto l’arco costituzionale, ma un pochino meno apprezzata dagli stessi allevatori per i quali era nata. Un’ennesima occasione nella quale si sarebbe potuto marcare un cambio di passo ma che, invece, ha visto riproporsi il solito noto vecchio copione. E gli allevatori marchigiani restano a guardare.