Il Ministero dell’Agricoltura, con proprio Decreto, ha dato il via libera anche in Italia alla produzione del c.d. vino dealcolato. Un atto dovuto e necessario in ottemperanza al regolamento Eu. Nell’ambito del processo di riforma della PAC era, infatti, già stata inserita la possibilità di sottoporre il vino al trattamento di dealcolazione totale o parziale.
Un prodotto certamente nuovo, ma che in diversi stati europei si sta già affermando. La dealcolazione sarà possibile sia per il vino fermo che per tutte le categorie di vino spumante e frizzante (anche gassificato) mentre sarà vietata per i vini liquorosi, i vini passiti, i mosti e gli aceti. Nei prodotti totalmente alcol-free il titolo alcolometrico effettivo non potrà superare lo 0,5 %, mentre quelli parzialmente dealcolati non dovranno superare l’8,5% di volume.
Il processo potrà avvenire solo tramite parziale evaporazione sottovuoto, con tecniche a membrana o distillazione, e ad ogni modo sempre sotto la responsabilità di un enologo o di un tecnico qualificato. Non sarà possibile aumentare il tenore zuccherino nel mosto ed è vietato aggiungere acqua e/o aromi esogeni al prodotto finale. Nell’etichettatura, inoltre, dovrà chiaramente essere riportata la dicitura “dealcolato” o “parzialmente dealcolato” dopo la relativa categoria, quindi ad es. “vino spumante dealcolato”.
Al netto dei tanti aspetti tecnici, però, è interessante capire come tale novità potrà impattare sul mercato vitivinicolo nazionale e locale.
A tal proposito Federico Castellucci, viticoltore attuale presidente di Confagricoltura Marche e già direttore dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino, ricorda che “queste tipologie di vino sono già autorizzate in Europa da oltre un anno, sarebbe stato sbagliato restarne fuori dando un vantaggio competitivo ai produttori d’oltralpe”. Ma, sottolinea Castellucci, “non voglio esprimere un giudizio sulle caratteristiche organolettiche del prodotto, saranno i consumatori a giudicarlo, tuttavia questo passaggio potrebbe rappresentare un’opportunità in più per le cantine che vorranno valutarla. Probabilmente sarà più facile approcciarsi a questo processo per le aziende più strutturate, data la complessità ed i costi ancora alti del procedimento richiesto”.
Posizioni simili a quelle di Michele Bernetti, presidente della nota Cantina Umani Ronchi, che sottolinea: “Malgrado le tante e comprensibili incertezze iniziali, a mio parere, l’approvazione di questo decreto rappresenta comunque un passo in avanti per il settore vitivinicolo italiano, che rischiava di restare bloccato a confronto di altri Paesi più dinamici. Il decreto apre infatti nuove prospettive di mercato ed innovazione per le imprese, anche in un momento di importanti trasformazioni nei consumi mondiali di vino, dove sicuramente occorrerà essere pronti e veloci a cogliere le metamorfosi produttive alle quali stiamo già assistendo”. Una apertura sulla quale, però, secondo Bernetti “occorrerà vigilare e prevedere che la produzione di dealcolati non impatti sulla qualità e sul gusto dei vini e delle denominazioni più tradizionali”.
Un rispetto della tradizione che è al centro delle riflessioni di Luca Guerrieri, viticoltore e titolare della storica azienda agricola di famiglia a Terre Roveresche il quale, invece, rammenta: “Il vino dealcolato corre il rischio di causare la perdita di identità di un prodotto storico del nostro paese. Le peculiarità delle nostre etichette, gli oltre mille vitigni autoctoni, la tradizionale vocazione italiana nella creazione di grandi vini mal si coniugano con un prodotto che, forse, è più simile ad una bibita. Sicuramente noi viticoltori dobbiamo, a mio avviso , assecondare la tendenza del mercato che richiede di consumare vini più leggeri e meno alcolici senza però snaturare l’identità del vino agevolando semmai consumo più moderato, responsabile e consapevole”. Un timore di fondo che oltre agli aspetti tradizionali affianca un’ulteriore problema secondo Guerrieri: “L’affermarsi di un tale prodotto creerà valore innanzi tutto per l’industria, con il mondo agricolo che ne beneficerà solo in maniera marginale, siamo in presenza di un processo di industrializzazione del vino che ne sacrifica molte peculiarità”.
Su posizioni di netta apertura si trova Carlo Ciabattoni, enologo e titolare della Tenuta La Riserva di Castel di Lama, che parte da una analisi anche di natura commerciale ricordando che: “Il mercato dei vini NoLo (No alcool e Low alcool) è in costante aumento soprattutto negli Stati Uniti, e quello a cui stiamo assistendo potrebbe rappresentare l’opportunità di fare avvicinare al vino anche quei paesi che non lo consumano per motivi religiosi o di altro genere”. Un’attenzione al consumatore ed al mercato che Ciabattoni basa su alcuni dati fattuali: “Il problema del tenore alcolico dei vini si sta facendo sentire sempre di più per svariati motivi, si va verso un consumo di alimenti meno calorici e l’alcool (purtroppo) è uno dei maggiori imputati. Il cambiamento climatico, inoltre, non va a favore di questa tendenza di mercato ma sta causando un maggior accumulo di zuccheri (in conseguenza dell’anticipo della maturazione) con relativo incremento del tenore alcolico. L’importante è cogliere questo cambiamento in atto in modo da essere protagonisti e governarlo, non subendolo a causa del ritardo per essersi arroccati troppo a concetti legati alla tradizione o storicità”.
Tesi e pareri differenti come, del resto, era prevedibile di fronte a quella che sarà una vera e propria sfida per il futuro. Un settore, quello del vino, che rappresenta un traino per l’intero agroalimentare nazionale e che non potrà che confrontarsi anche con questa nuova sfida.