“Va chiarito un concetto, perché in queste legittime proteste di noi agricoltori rischia di passare un messaggio sbagliato: e cioè che noi prendiamo contributi dall’Europa per il solo fatto di essere agricoltori. Non è così: il sostegno dell’Unione europea viene riconosciuto per gli impegni agroambientali che le imprese agricole si assumono a tutela della collettività: per garantire prezzi equi alle produzioni e consegne certe ai consumatori”.
Alessandro Bettini, imprenditore agricolo e vicepresidente di Confagricoltura Ancona (nella foto) resta sul pezzo della protesta dei trattori e rilancia: “Non è un contributo per sostenere l’azienda quello che ci dà l’Unione europea. Non è un contentino. Perché questo contributo ce lo riconosce a carissimo prezzo. Dobbiamo sottostare a ben 9 distinti obblighi sulle Bcaa, vale a dire le Buone Condizioni Agronomiche Ambientali, a seconda delle produzioni, e a ben 11 diversi Cgo, e cioè Criteri di Gestione Obbligatoria. Oltre a dover rinunciare a lavorare il 4% del terreno che deve essere lasciato incolto. In tutto questo, i contributi nell’ultimo sono calati del 30% (da 200 a 160 euro ad ettaro), i pagamenti aggiuntivi con gli Ecoschemi devono seguire una procedura talmente complicata e complessa, a partire dalla lotta integrata, per avere riconosciuto appena 49 euro ad ettaro (Ecoschema 4). Per rispettare tutti questi parametri, un’azienda agricola si trova da un lato a dover sostenere costi maggiori e dall’altro ad avere la certezza che otterrà un minor reddito. Dunque, tanto vale andare per conto proprio e rinunciare a una mancia così misera che testimonia come non sia affatto riconosciuto il sacrificio e l’impegno dell’agricoltore quale punto di riferimento del territorio e dell’ambiente, nell’interesse di tutti”.
Per Bettini, insomma, le misure che la politica oggi sta cercando di trovare per uscire dall’impasse in cui si è impantanata in tutto il continente non risolvono il problema di fondo.
“Qui dobbiamo capire che l’Europa dovrebbe far di tutto per consentire all’agricoltura di entrare dentro un sistema virtuoso. Non è possibile che siano invece gli agricoltori a dover correre dietro all’Europa ed ai suoi vincoli”.
E a proposito di contributi ricorda: “La mia azienda 30 anni fa riceveva 1.168.000 delle vecchie lire come contributo per coltivare un ettaro di grano duro in una modalità rispettosa dell’ambiente, che tradotto con la nuova moneta sono pari a circa 600 euro. Oggi, con obblighi e divieti molto, ma molto più stringenti sul fronte produttivo, riceve appena 160 euro. Ed in questo scenario è comprensibile come diverse aziende del nord Italia proprietarie di impianti a biogas preferiscano rinunciare al sostegno e guadagnare molto di più dedicando la coltivazione a mais non per uso alimentare, ma per il proprio impianto. Così, però, non si tutelano né le produzioni alimentari, né i consumatori, né tanto meno le aziende agricole. Su questo la politica deve riflettere seriamente”.
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