“In Italia siamo tre o quattro aziende ad usare il bufalo come alimentazione”, così Antonio Trionfi Honorati ( in foto) inizia a spiegare l’idea di allevare bufali per produrne tagli di carne o salumi. Nella sua azienda in Via Piandelmedico a Jesi, Antonio ha dato vita negli anni ad una realtà governata dalle leggi della filiera corta. Gli animali allevati mangiano i prodotti coltivati a pochi metri di distanza, mentre la volontà di sperimentare dà vita a nuove soluzioni agricole ecosostenibili: una casa di canapa e, come nel caso del bufalo, a nuove possibilità alimentari.
Siamo infatti abituati a pensare gli animali allevati come fonte di carne eppure, nel caso del bufalo, questo è tutt’altro che scontato. Per pensarlo tale, nel suo caso, serve la volontà di “superare blocchi mentali e prassi radicate nel passato”.
Quello del bufalo, un passato da dimenticare
In Italia, gran parte dei bufali proviene da Campania, Lazio e Puglia, con allevamenti attivi tra le province di Caserta e Salerno, Latina e Frosinone, Foggia e Isernia. Questi luoghi – che costituiscono l’areale della Mozzarella di Bufala Campana DOP – detengono il 75% di bufali, o meglio, di bufale. Perché se è vero che in passato essi venivano considerati una razza a triplice attitudine – allevati per produrre latte, carne o come animale da lavoro – ad oggi sono principalmente produttori di latte. Questo rende fondamentali le femmine ed un peso, per gli allevatori, i maschi.
Una questione che affonda le sue radici nel passato, quando i bufali venivano adoperati principalmente per il lavoro nei campi perché più resistenti dei manzi. I consumatori percepivano la loro come una carne scadente e gli esemplari maschi venivano abbattuti, soprattutto man mano che il progresso tecnologico li sostituiva nel lavoro. Dal secondo dopoguerra, la domanda crescente di prodotti caseari ha continuato a favorire la produzione di latte a discapito di una carne, come è oggi noto, ricca di qualità salutari.
Lenta crescita, ma poco colesterolo e tanto ferro
“È una carne che ha pochissimo colesterolo e tantissimo ferro” spiega a riguardo Antonio Trionfi Honorati . Più simile al cavallo che al bovino, con il quale però condivide il sapore: “Quando viene mangiata è facile da confondere con quella del bovino. La si riconosce piuttosto dalla grana, un po’ più grossolana e scura ma il sapore è molto simile”.
La differenza emerge piuttosto in fase di macellazione spiega: “rispetto al bovino il bufalo ha una crescita molto più lenta. Ad esempio, da un vitello di due anni ricavo circa 3 quintali di carne, con un bufalo di cinque quintali ne ricavo 2,5. Il calo di peso è maggiore perché il bufalo ha ossa più grandi e più pelle”. La resa minore spiega così il prezzo maggiore di 2 euro rispetto al bovino, “aumento con il quale viene coperto il gap di produzione”. La carne infine, viene venduta in pacchi famiglia, sotto forma di fettine e bistecche, macinato e hamburger.
Non solo carne
La partita di Antonio con la carne di bufalo non si ferma però solo alla volontà di rivalutare una carne a lungo trascurata. “Cercando soluzioni alternative – racconta – viene fuori l’idea di fare ciò che gli altri non avevano ancora fatto, ovvero gli insaccati”. Nasce così, tre anni fa, la collaborazione con Giorgio Calabrò, dell’omonima norcineria di Visso, che realizza con la carne allevata da Antonio salami, bresaole e mortadelle.
“Gli ho mandato 60 kg di carne e lui ha iniziato a lavorarla per farne salami e salsicce, E sono venuti piuttosto buoni. Da lì abbiamo provato a fare anche bresaola e mortadella, wurstel sia normali che con
l’impasto della mortadella, implementando la produzione con la materia prima che avevamo”. “Eccetto la mortadella che prevede anche una parte di maiale all’interno – conclude – i prodotti sono 100% bufalo, ricchi delle proprietà prima dette ed interessanti anche per clienti di altre religioni o culture”, salumi affini ad esempio al mercato kosher o musulmano.
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