In risposta alla crisi Moncaro, alcuni ex soci conferitori hanno fondato davanti al notaio il 27 dicembre scorso la cooperativa agricola “Uve unite”. Quindici, i soci fondatori, di cui undici produttori vitivinicoli. Presidente è stato nominato Giovanni Piersanti, titolare di un’impresa agricola a Corinaldo, dal 2008 presidente della Cac, cooperativa tra i leader mondiali nel settore sementiero.
Presidente Piersanti, qual è la genesi della cooperativa?
“Dare una risposta alle domande di tante aziende viticole piccole e grandi che, per colpa dell’insicurezza del conferimento delle uve, si stavano interrogando se mantenere od estirpare i filari. Impedire che si disperdi un patrimonio. Ridare valore al prodotto, ossia l’uva. Creare una nuova realtà per aggregare i produttori, unica strada affinché la viticoltura, attività primaria, non sia un anello debole della produzione e acquisisca nella catena del valore pari dignità”.
Dignità economica e sociale. Ma non era il ruolo di Terre Cortesi-Moncaro?
“Purtroppo, sono risposte che la cooperativa di Montecarotto non ha dato anche se i suoi soci hanno avuto fede fino alla fine”.
Fede?
Non è un atto di fede da parte dei soci conferitori continuare a conferire nonostante non vedano un euro per tre anni di seguito? Magari sbaglio, ma non credo che siano tante le cooperative che per tre anni si permettono di trattare così male i propri soci. Quest’atto di fede significa che il ruolo di una aggregazione come “Uve Unite” può ripartire dalle ceneri della Moncaro e dare le risposte che si aspetta il territorio. Poi, in tanti non possiamo immaginare le nostre colline coltivate a grano con l’impiego di risorse umane ridotte all’osso. Siamo convinti che la ricchezza del territorio, una volta ristabilita la catena del valore, passa attraverso la capacità di creare lavoro e reddito e questa ricchezza si ridistribuisce nell’indotto”.
Come pensate dare il suo reale prezzo all’uva?
“A giugno e luglio, prima dell’arrivo del Custode nominato dal Tribunale per garantire la continuità aziendale di Moncaro, il prezzo ad esempio del quintale di uve Verdicchio era basso. Questo perché il mercato era influenzato dall’incertezza della consegna dell’uva e dalla previsione di un surplus di produzione sul mercato. La prova lampante del ruolo di Moncaro come collettore. La strada è in salita. Aggregandosi abbiamo la forza di ricercare nuovi mercati. E quando parlo di aggregazione intendo l’aggregazione tra tutti i produttori vitivinicoli per creare un sistema marchigiano”.
Siete solo in quindici, molti dell’anconetano e uno del pesarese…
“Finora. Dall’inizio, per creare una realtà più unita possibile, come il nome della cooperativa lo evidenzia, abbiamo cercato di contattare gli ex soci delle tre cantine della Moncaro: Montecarotto, Camerano e Acquaviva Picena. Ma abbiamo dovuto prendere atto che la diatriba per la gestione della liquidazione tra il Tribunale e il Ministero ha generato due visioni negli ex soci della Moncaro. Quelli del territorio dell’ascolano vogliono aspettare la decisione della Corte d’Appello di Ancona, mentre nell’anconetano abbiano avuto la spinta giusta per iniziare l’aggregazione che, ripeto, è inclusiva. La cooperativa Uve Unite è aperta a tutti e ad ogni momento ci rimettiamo in gioco tutti insieme. Comunque, da cooperatore, non bisognerebbe mai arrivare ad una liquidazione di una cooperativa, perché vuol dire che qualcosa è stato sbagliato. Ma se qualcosa non ha funzionato come nel caso della Moncaro, la procedura per una cooperativa è la liquidazione coatta amministrativa. Quella giudiziale è un’altra cosa”.
Intanto, quale è stata la spinta che ha fatto la differenza?
“Nell’ascolano, le aziende produttrice sono più strutturate e in ogni caso la viticoltura non è in forse, a differenza dell’area del Verdicchio dove il rischio effettivo è che piccoli viticoltori abbandonino i vigneti e optano per l’espianto. Il nostro scopo con “Uve Unite” è creare quella iniezione di fiducia indispensabile e necessaria nel futuro. Necessaria ed indispensabile alla viticoltura affinché non prendano decisioni drastiche, continuino a coltivare i vigneti e così impedire che si disperdi il patrimonio viticolo della proprietà dei soci”.
Una strategia che necessita competenze. Cosa offrite ai viticoltori?
“La cooperativa attualmente è da costruire. Per il momento raccogliamo le preadesioni – e sono già 35 – senza nessun vincolo. Lo scopo è non disperdere il patrimonio e diventare un interlocutore valido nei confronti di chi gestirà la liquidazione. Appena abbiamo una base sociale solida faremo un piano industriale generale supportato probabilmente dalle organizzazioni, dalla Regione Marche e dai progetti Ismea. Noi ci stiamo strutturando per ripartire del territorio ed essere una soluzione operativa di continuità. Di fatto, non stiamo solo dialogando con gli ex soci conferitori Moncaro ma diverse cantine sono interessate ad aggregarsi”.
Può dare altre informazioni?
“Lo statuto è molto libero. Stiamo costruendo un rapporto di mutualità e di convenienza reciproca. È sempre possibile dare la disdetta”.
Ma questo non dà sicurezza per operare su un mercato così complesso e volatile…
“La sicurezza nasce dal modo di fare, dalla programmazione fatta insieme”.
Quale è il vostro rapporto con il Comitato “Amici della Moncaro”?
“Le basta sapere che, da cooperatore, ho iniziato a pensare a “Uve Unite” il 16 novembre scorso alla prima assemblea organizzata dal comitato. Poi, ho partecipato ad una riunione di un’organizzazione professionale. L’idea di costruire qualcosa di operativo era comune a diverse persone. Siamo convinti che il territorio, indipendentemente da cosa faranno le Istituzioni, deve riorganizzarsi e lancio l’appello ai curatori di Moncaro – chiunque saranno – e della Moderna di essere attenti alla gestione dei vigneti prima che i danni siano irreparabili. La viticoltura vive al ritmo delle stagioni”.
Lei è alla guida di una cooperativa emiliana da oltre 16 anni. C’è chi teme un avvicendamento con le cooperative vitivinicole emiliane…
“Nel passato è stato lo spauracchio agitato dall’allora presidente Doriano Marchetti. Noi, siamo nella fase dove, ripeto, ci associamo con lo scopo che tutti i produttori nelle Marche e tutte le cantine, insieme, facciano in modo che il prezzo dell’uva non sia tirato verso il basso ma sia valorizzato. Dobbiamo lavorare in un modo sinergico come lo fa il Prosecco e trovare le competenze nel nostro territorio. Gli interlocutori prima devono essere le istituzioni del territorio, le organizzazioni del territorio e ringraziamo Confagricoltura per quello. L’importante è che il progetto rimanga concentrato sulle Doc delle Marche e dobbiamo essere bravi nell’utilizzare tutti i canali per portare ricchezza e lavoro all’interno del nostro territorio”.
Come vuole concludere?
“Noi dobbiamo essere aperti, inclusivi, cogliere tutte le opportunità, perché il futuro con tutti i suoi problemi non ha spaventato quelli che son partiti prima di noi e questo futuro non ci dovrà spaventare, ma ci dovrà affascinare. Quando si crea qualcosa di nuovo, dobbiamo esserne affascinati dall’idea. Se ci spaventiamo dall’inizio, significa che rimarremo chiusi in noi stessi e non andremo da nessuna parte”.