Elisa Fulgenzi: “Così è nata la protesta di noi agricoltori”

Parla la giovane che ha dato il via alle iniziative nelle Marche
Attualità
di Alberto Maria Alessandrini

Se esiste una caratteristica comune a tutti gli agricoltori è certamente la mancanza di tempo. Indipendentemente dal fatto che si allevino animali, che si coltivi grano o che ci si occupi di frutta, vigne oppure oliveti, non esiste azienda agricola in cui 24 ore siano sufficienti a svolgere tutte le mansioni previste per la giornata.

Proprio per questo motivo vedere migliaia agricoltori in tutta Italia interrompere il proprio lavoro, percorrere km ed incontrarsi per manifestare pubblicamente la loro frustrazione è un qualcosa che dovrebbe suscitare rispetto in chiunque. Rispetto al quale si aggiunge anche una certa curiosità, se si pensa che dietro a tutto ciò non ci sono organizzazioni particolari, associazioni o partiti, ma semplicemente cittadini esausti di una situazione ormai insostenibile in tutta Italia che hanno deciso di unirsi partendo da un semplice passaparola.

Elisa Fulgenzi, lei che nella nostra regione ha dato il via alle manifestazioni, riunendo gli agricoltori ed occupandosi anche di tutti gli aspetti pratici ed organizzativi, ci spiega da dove è partita?

“Nei primi giorni dell’anno, leggendo delle tante proteste in giro per l’Europa e ben comprendendone i motivi, scopro che anche nel nostro paese si stavano organizzando i primi comitati di protesta. Da lì sono riuscita a contattare gli organizzatori per scoprire chi fossero i referenti nelle Marche. Qui, però, vengo a sapere che non esisteva ancora nulla. L’idea di fare la mia parte è stata immediata, ho creato un gruppo Whatsapp senza immaginare di ottenere una tale risposta. Nel giro di una settimana dagli originari tre partecipanti hanno aderito un migliaio di contatti. Da lì poi è iniziato tutto”.

Una risposta inaspettata, ma probabilmente sintomo di una rabbia di settore che in molti non hanno compreso, giusto? 

“Più che rabbia, ho riscontrato paura e delusione, paura di non avere un futuro. E’ frustrante parlare con persone anziane che hanno lavorato una vita in campagna e che oggi si trovano nell’impossibilità di tramandare il proprio mestiere alle nuove generazioni. E questo non per colpa del meteo, della disaffezione dei giovani o di altre calamità ma soprattutto perché il sistema politico/economico ha deciso che del nostro lavoro si possa fare a meno. Chiedere l’istituzione di un prezzo minimo che almeno copra le spese delle produzioni, avere “l’ambizione” di vedere tutelato il cibo da noi prodotto o non essere pagati per rinunciare a coltivare i nostri campi, sono circostanze di una banalità sconcertante ma che negli ultimi anni sono costantemente messe in discussione”.

L’aspetto più singolare delle proteste è il fatto che tutto questo si stia svolgendo autonomia, senza organizzazioni che predispongono il tutto, magari mettendo cappellini colorati in testa o laccetti brandizzati al collo delle persone “chiamate” a manifestare. Quali difficoltà ha incontrato?
“Questa è una protesta che parte dal basso, abbiamo fatto tutto da noi partendo da aspetti solo all’apparenza banali come prendere contatti con le questure, trovare le aree, coordinare i cortei ed i sit-in. Fortunatamente quando le finalità sono giuste la risposta delle persone è conseguente ed anche le forze dell’ordine hanno compreso che non ci sono né violenti né facinorosi dietro a tutto questo, ma solo cittadini stanchi e sfiduciati. Del resto, questa è un qualcosa di eccezionale che nasce dal popolo, l’intento è quello di andare avanti ad oltranza senza accontentarci delle briciole. Quando non soltanto molti agricoltori si aggregano, ma anche le persone comuni, passanti od automobilisti, ti applaudono significa che il messaggio sta circolando. Sia a Civitanova che a Macerata la protesta non è stata vista come un disagio dai cittadini anzi, a breve continueremo con San Severino, Pesaro e Jesi anche grazie al costante aumento di persone che vengono spontaneamente a supportare queste battaglie comuni. Del resto, sembra che le istituzioni, Unione Europa in primis, si concentrino nel voler distruggere questo settore mettendo costantemente sotto attacco l’agricoltura tradizionale che, però, non è solo un modello economico, ma anche uno stile di vita ed un modello culturale comune a moltissime persone”.

Un coinvolgimento che può, quindi, andare anche al di là dei semplici addetti ai lavori. La sua storia ne è un po’ l’esempio del resto!
“Sono di Chiaravalle con nonni, genitori e zii impegnati a lavorare in agricoltura, ma personalmente ho una formazione scientifica, sono laureata in igiene dentale, ma per tanti anni non ho fatto altro che ascoltare le tante difficoltà che lamentavano gli agricoltori. Un anno fa, poi, ho ereditato l’azienda agricola di mio padre ed ho iniziato a gestirla in prima persona. A quel punto ti rendi conto che i racconti delle criticità fino ad ora sentiti erano fin troppo edulcorati. Quando il nemico di un’impresa non sono più le avversità del clima o le mutate richieste del mercato, ma diventano le istituzioni, qualcosa è andato storto: questo è evidente a tutti”.

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