Massima della settimana: “il vero marchigiano ha sempre un gambuccio a portata di mano”. In rima baciata inizia questa chiacchierata “intorno al focolare” per decretare il definitivo elogio di un pezzo di ciccia che molti snobbano ma che è lo stay behinder (colui che sta dietro ma decide) della nostra meravigliosa gastronomia che tutti lo cerca e nisciu’ lo butta via!
L’incipit, tra l’aulico ed il vernacolo, è quanto mai doveroso per celebrare questo delizioso tocco di carne che nasce come scarto ma che, se trattato con cura e fantasia, sa diventare principe dei fornelli e vero deus ex machina di tutte le portate, dolce escluso, almeno per il momento.
Sempre svenduto ed abbandonato all’angolo del bancone dei freschi, perché ritenuto figlio di un porco minore, è tra le prede preferite di esperte vergare che si avvicinano al banco del taglio. Incartato sotto vuoto ed apparecchiato su cesti ad altezza occhi, si riesce a malapena a valutarne l’integrità, la freschezza, il taglio. Spesso è in compagnia di fondi di bresaola o prosciutto cotto, ma va da sé che sia lui e solo lui l’oggetto del contendere di voraci avventori e soprattutto avventrici. Oltretutto con i tempi che corrono, per la verità molto incerti visto il clima di restrizione internazionale che si sta apparecchiando, il gambuccio rappresenta la chiave di volta per battere la crisi, almeno a tavola, senza rinunciare al sapore. Una sana forma di autarchia gastronomica giusto per rinfrescare principi di economia domestica in caso di imminente carestia.
Il gambuccio, che per i pochi che non lo sapessero è l’ultima parte che rimane del prosciutto, a voler usare una metafora lo si può definire il coltellino svizzero della cucina nostrana: non occupa spazio in dispensa, costa poco, risolve ogni emergenza con la giusta sapidità e fa fare bella figura anche ai “canidi” dei fornelli. Averne un pezzo in frigo significa affrontare senza problemi orde di ospiti anche dell’ultimo minuto. Sì dai, quei simpaticoni che fatte le otto di sera ancora stanno là ad aspettare un forzatissimo: “Perché non vi fermate per cena? Facciamo due spaghi…”
Garanzia di sapore, lo puoi usare per la pasta, la frittata, i fagioli, la lenticchia. Ideale anche per rinforzare un bel salmì o aumentare la carica erotica di un variopinto fricchio’: faraone, fagiani e polli, saltano felici in padella se prima ne spargi qualche cubetto sul fondo, come faresti con il becchime nel pollaio. Lo stesso dicasi per il trito di verdure tricolori (peperone, cipolla e pomodoro), ideale contorno dai toni patriottici. Anche una bella Amatriciana viene buona se il gambuccio sostituisce il guanciale sfidando persino i palati più fini a scoprirne la differenza.
Se ci avvolgi una prugna secca denocciolata con una sottile fetta, il nostro risulta sorprendente anche come aperitivo; si fissa il tutto con uno stecchino e si inforna per pochi minuti: ne risulterà un croccante involtino dai toni sapidi e caramellati al tempo stesso, da abbinare con bollicine rigorosamente locali.
Se poi riesci ad accaparrarti il pezzo giusto, le prime fette le puoi spacciare anche per prosciutto tagliato al coltello e se il residuo è di ottimo Carpegna, la bella figura è assicurata.
Il gambuccio insomma è in grado di assecondare ogni tempo del pasto con estrema confidenza, dolce escluso; ma considerata la creatività dei nostri gelatai e pasticceri, hai visto mai che a qualcuno non venga in mente di sfondare anche questa ultima barriera del gusto?
Provocazioni a parte, il gambuccio appartiene ai ricordi più belli: a casa ce n’era sempre un pezzo e la cucina, specialmente nel fine settimana, profumava di succulenti condimenti che riscaldavano l’ambiente e predisponevano il palato al lauto pranzo domenicale.
Il gambuccio è identità della nostra cucina. Il gambuccio è la rivincita della povertà sull’opulenza. Il gambuccio è autarchia gastronomica. Il gambuccio è: “qui non si butta via niente”. Adoriamo Il gambuccio. Amen.