Il no all’agnello pasquale? Una patologica incongruenza

Chi si oppone a presunte stragi, poi è indifferente su polli e maiali
Attualità
di Alberto Maria Alessandrini

Poche sono le certezze che ci accompagnano nella vita di tutti i giorni, come i puntuali inviti dei telegiornali – all’arrivo di ogni estate – a bere più acqua o l’allarme dei catastrofisti climatici non appena – durante le vacanze di Natale – le cime delle nostre montagne tardano ad innevarsi.

Ma l’elemento più ricorrente, che inesorabilmente scandisce l’avvento della primavera, sono gli accorati appelli ad evitare sedicenti stragi di agnelli in occasione delle festività pasquali. Proclami e prese di posizione di persone che, mai come in questi giorni, sentono la necessità di comunicare al mondo che nei loro piatti, durante la Santa Pasqua, non ci saranno abbacchi.

Tutto rispettabile, lecito e legittimo, ma anche meritevole di una qualche riflessione. È divertente osservare, infatti, come buona parte dei promotori di queste campagne spesso siano tutt’altro che vegetariani o vegani. Non si capisce quindi quale logica stia alla base della convenzione che si debbano “graziare” gli agnellini, mentre non debba essere provata pietà alcuna per polli, vitelli, scampi o branzini. Anche loro esseri viventi che spesso sono a chiamati a sostituire il povero abbacchio negli italici menù pasquali.

Tale strana incongruenza è suffragata, del resto, anche dai dati. Solo il 6,6% dei concittadini, infatti, dichiara essere vegano o vegetariano, addirittura in calo rispetto agli anni precedenti (nel 2021 erano l’8,1). Non si spiega dunque il motivo per cui molte persone, tecnicamente appartenenti a quel 93,4% di italiani onnivori, siano spinte a provare compassione per l’agnellino al mattatoio, ma non per quegli altri milioni di animali che ogni anno contribuiscono alla nostra dieta mediterranea.

Non è assolutamente intenzione in questo luogo istaurare un dibattito su quale siano le abitudini alimentari più corrette, ma alcuni aspetti, di altrettanti comportamenti patologici, sono sono indubbiamente da sottolineare.

In primo luogo, per ristabilire il giusto ordine delle cose, dobbiamo ricordare come l’agnello altro non sia che un sottoprodotto della filiera del latte. Termine crudo, forse per qualcuno anche sprezzante, ma è così. Per mangiare pecorino, ricotte e formaggi di ogni sorta è opportuno che le pecore partoriscano ed inizino a produrre latte. Stesso discorso per bovini, capre o bufali.

Chiarito questo concetto, conseguenza logica vuole che per fare mangiare latticini (anche ai vegetariani ed a chi non mangia l’agnello) è opportuno che quegli ovini nascano e se questi saranno “malauguratamente” maschi il loro percorso naturale non potrà che essere quello della filiera della carne. A meno che non si ipotizzi di creare sterminati pascoli abitati da milioni e milioni di arieti riottosi.

Altro aspetto curioso è questa predilezione per certi animali, magari perché esteticamente più teneri e gradevoli, a discapito di altri. La triste ma inevitabile fine degli agnelli non è dissimile da quella dei pulcini maschi. Miliardi di questi avicoli ogni anno vengono sacrificati appena schiusi poiché inutili per la filiera delle uova. Nessuna campagna di raccolta firme viene promossa per i poveri futuri galletti sacrificati sull’altare di un’alimentazione proteica ma a basso costo. Non parliamo poi della totale indifferenza nei confronti dei maiali che possono tranquillamente essere macellati forse perché ricoperti di setole e poco fotogenici.

Il discorso sarebbe comunque lungo e le motivazioni per cui sia normale mangiare l’agnello molte. Si tratta certamente di una tipologia di allevamento fra le meno impattanti sul piano ambientale, condotta il più delle volte ancora in modo estensivo, al pascolo ed in modo rispettoso dell’etologia degli animali. È una fra le poche agricolture che permette anche oggi di valorizzare le aree interne ed i terreni più marginali, ma il suo consumo è anche una delle tradizioni più intrinsecamente appartenenti alla nostra storia, e non solo.

L’agnello, infatti, è uno dei pochi animali che tutte le grandi religioni ammettono e rappresenta da sempre il simbolo di culture, tradizioni e popoli millenari. Certamente nel 2024, in una società sempre più nichilista ed abbandonata a sé stessa, richiamare all’eccezionale portato simbolico che l’agnello ha, ad esempio, per tutti gli europei sarebbe ormai inutile e poco compreso. Ma non per questo può ritenersi logico continuare ad ignorare certe campagne basate solo ed esclusivamente su percezioni errate ed emotività.

Perché, se è vero che legittimamente ognuno può decidere di mangiare quello che vuole dobbiamo anche essere consapevoli che quello stile di vita semplice, lento e rispettoso dei cicli della natura che in molti sogneremmo non potrà mai prescindere dal ruolo di agricoltori ed allevatori.

Quindi condividere certe battaglie farà racimolare forse qualche facile like ma, certamente, creerà molto più male ai nostri agricoltori di qualsiasi legge a favore della carne coltivata o a sostegno della farina di grilli. E spesso chi non vorrebbe mangiare agnello a Pasqua è lo stesso che si scaglia contro il cibo c.d. sintetico… speriamo quindi di non doverci rassegnare al Tofu!

Tags: Agnello pasquale, in evidenza, vegani

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