Le radici dell’orzo nudo di Treia affondano all’incirca negli anni Trenta del ventesimo secolo. Una varietà tipica marchigiana che veniva coltivata soprattutto nei territori della provincia di Macerata, usata principalmente per produrre farina o il tipico surrogato di caffè.
Oggi sono rimaste poche aziende a mantenerne la coltivazione – due nella provincia di Macerata ed una ad Urbino – per questioni legate soprattutto ad una bassa resa e poca convenienza. Ne abbiamo parlato con uno degli agricoltori custodi del prodotto, Vasco Pandolfi che, nell’azienda agricola ad Urbino, lo coltiva su mezzo ettaro di terreno così da salvaguardare la tipica varietà.
Orzo nudo e ricco di proprietà
Come noto, di orzo ne esistono due tipologie, l’orzo vestito e l’orzo nudo, detto anche “orzo mondo”. La differenza sta nella presenza o nell’assenza, del rivestimento duro che avvolge il cereale, la glumella. “Proprio perché è un orzo nudo – spiega Pandolfi – è piuttosto delicato. Una volta raccolto non necessita di decorticazione ed in passato veniva soprattutto usato per la farina o consumato direttamente in zuppe o minestre”.
“Un prodotto interessante perché ricco di proprietà, come documentato anche da alcuni studi condotti dall’Università Politecnica delle Marche – aggiunge. “È ricco di polifenoli che abbattono la glicemia e può essere adatto per chi soffre di cuore o per i diabetici”. L’alto livello di Beta-glucani (5,6%), lo rende di fatto simile a quello della varietà Priora, nota per la sua capacità di migliorare il sistema immunitario e ridurre il colesterolo.
Benefici dell’orzo noti già dall’antichità. Non a caso il medico greco Ippocrate consigliava la tisana ottenuta dalla sua infusione per fortificare anima e corpo e aumentare la concentrazione. Caratterizzato da alta digeribilità e proprietà antinfiammatorie.
Semina primaverile dalla bassa resa
Come altre varietà di orzo nudo, anche quello di Treia è un cereale a semina primaverile. “La fioritura avviene tra aprile e maggio – afferma Pandolfi – e raggiunge poi la maturazione tra giugno e luglio”. Tra i principali problemi nel corso della coltivazione la troppa umidità o il clima che cambia con eventi atmosferici intensi che lo fanno allettare.
Una storia simile a quella che ci era stata raccontata dall’agricoltore custode Dino Roso che a Monte Giberto coltiva il Grano Jervicella, anch’esso caratterizzato, come l’orzo nudo di Treia, da spighe particolarmente alte. “Può arrivare anche ad un’altezza di 120 centimetri e per questo si alletta molto facilmente a causa del maltempo, delle piogge vicine alla raccolta o al passaggio dei cinghiali, piuttosto numerosi”.
“La resa è così molto bassa, sui 20 massimo 25 quintali ad ettaro – conclude. Nonostante le sue innumerevoli proprietà positive, la sua struttura e delicatezza lo rendono così un cereale difficile da mantenere: “che fa bene ma che rende poco, ne è una testimonianza la scelta dei nostri antenati, costretti nel tempo ad abbandonarne la coltivazione“.
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