“L’agricoltura marchigiana si adatti ai cambiamenti climatici”

L'analisi del direttore del Dipartimento Agricoltura della Politecnica delle Marche
Attualità
di Veronique Angeletti

L’Agenzia europea dell’ambiente prevede che i cambiamenti climatici potrebbero ridurre il valore dell’agricoltura europea entro il 2050 del 16% e, per colpa della maggiore siccità delle temperature torride e di altri eventi estremi, la produzione dei paesi del Mediterraneo come l’Italia potrebbe scendere dell’80% entro il 2100.

Nel 2023, il miele è calato del 70%, il volume del vino del 9,5%, le patate del 6,8% e la frutta del 5,3%. Va addirittura peggio per pere (-63%) e ciliegie (-60%). La contrazione ha riguardato anche l’olio d’oliva (-5%) e perdite del 4% per il florovivaismo. Problemi che l’Unione Europea affronta con un piano specifico di adattamento per rafforzare la resilienza e promuovere l’uso di pratiche agricole adattive, l’innovazione nella gestione delle risorse naturali e l’investimento in infrastrutture agricole resilienti.

Davide Neri

«Per diventare più sostenibile, l’agricoltura marchigiana suggerisce Davide Neri, il direttore del Dipartimento Agricoltura dell’Università Politecnica delle Marche – deve prediligere pratiche che danno una maggiore attenzione alle tecniche di semina, difesa e impiantistiche che possono mitigare i danni. Protezioni attive come le reti multifunzionali antigrandine, ombreggianti, frangivento, antinsetto soprattutto per quelli alieni non ancora in equilibrio con gli antagonisti. Prevedere irrigazioni di soccorso e climatizzanti per i vari tipi di colture di pieno campo. Adottare una gestione conservativa del suolo per ridurre fenomeni erosivi e, ove possibile, migliorare la disponibilità di acqua e nutrienti senza innescare rischi di frane. Infine, scegliere specie e varietà innovative e tradizionali più resilienti e meno suscettibili agli eventi anomali».

Tradotto sul piano pratico c’è chi ci prova. Artemio Piccinini, dal 1978, ha sviluppato il piccolo vivaio fondato dal padre nel 1956 a Spinetoli. Oggi è tra gli specializzati in alberi ornamentali di alto fusto che fa crescere in piena terra e in vasi. Fornisce giardini, parchi urbani, viali. Dal 1978, su 15 ettari in pieno campo e 6 ettari dedicati ai vasi ha visto come il clima sta condizionando la sua azienda. «Coltiviamo oggi – osserva – alberi che gli inverni di una volta non ci consentivano». Come il falso pepe, il canforo, il carrubo, alcuni tipi di palme. Anche se beneficia dell’impianto irriguo del Tronto del Consorzio Bonifica Marche ha dovuto lo stesso investire. Spiega che per gli ugelli dell’impianto a goccia, l’acqua del fiume è troppo sporca, pertanto, usa pozzi e ha investito in pompe e in filtri. Il che gli dà vantaggi di risparmio idrico, efficienza nella distribuzione dell’acqua, possibilità di fertirrigare correttamente le piante intervenendo sul Ph e sui nutrienti e migliorare il tasso di accrescimento. Poi, c’è il vento. «Burrasche che fino a dieci anni fa non conoscevamo». Altri investimenti in rete antivento per rendere stabili il settore dedicato ai vasi più piccoli.

«Nella nostra regione – riprende il discorso il docente universitario della Politecnica- è inoltre necessario valorizzare i boschi come risorsa multi-funzionale capace di fornire prodotti e servizi ecosistemici importanti per la mitigazione climatica, la difesa idrogeologica, la conservazione della biodiversità, il valore estetico del paesaggio, la valenza turistico-ricreativa e i benefici per la salute».

Emiliano Pompei

Ed a proposito di boschi, «il tartufo è un’altra illustre vittima della siccità» osserva Emiliano Pompei, vicepresidente di Confagricoltura Marche. La differenza si vede nel raccolto più scarso delle tartufaie naturali paragonato alle rese nelle tartufaie coltivate attrezzate. «Il tartufo – spiega – è un fungo che vive in simbiosi con le radici delle piante e quindi ogni variazione termiche influenza la consociazione. Come subisce la discontinuità delle precipitazioni e il cambio della distribuzione delle piogge». Le soluzioni? «Sostituire le specie ospitanti con quelle più resistenti come il leccio al posto della roverella – risponde -. Introdurre pratiche agronomiche che favoriscono una fruttificazione più in profondità».
Anche nella tartuficoltura si testa nuovi impianti di irrigazione. Non facili da inserire ma esperimenti della Politecnica delle Marche stanno dando buoni risultati a Roccafluvione.

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