Il finocchio marchigiano vittima delle quotazioni altalenanti. Se a gennaio dell’anno scorso, il prezzo era aumentato del 37,2%, lo scorso febbraio ha accusato una flessione del 54,2%. Il che, se non ha intaccato il volume complessivo di raccolta del finocchio in Italia, ha influito sulla produzione marchigiana. Il “foeniculum vulgare dulce” forte dei suoi 5 milioni di quintali conferma l’Italia come primo produttore mondiale, detiene il 95% del mercato globale, ma dai dati registrati dall’Istat, il contributo degli agricoltori marchigiani si è drasticamente ridotto: dei 46 mila quintali prodotti nel 2021, solo 11 mila risultano raccolti nelle Marche nel 2022 e quest’anno rimarrà nei piani colturali solo delle aziende orticole specializzate.
Per l’agrotecnico Gianpaolo Crescenzi, queste statistiche sono del tutto fuorvianti. «Dalle vendite di piantine e dei semi – spiega – il mercato è molto più stabile di quello che sembra. C’è un mosaico di piccoli appezzamenti che non sono stati presi in carico dai dati e sommati mantengono la superficie totale dedicate al finocchio a 130 ettari». La crisi comunque esiste. «Finora, le grandi aziende agricole produttrice hanno scelto di sacrificarsi per garantire il prodotto alle centrali e al consumatore, ma con queste condizioni di mercato tenderanno a mettersi sulla difensiva e a ridurre gli investimenti».
Un vero peccato. «Perché – incalza – si tratta di un ortaggio in cui le Marche potrebbero essere facilmente protagoniste e soddisfare sia il mercato interno, sia l’export». Già ad inizio secolo, il finocchio proveniente dalla valle dell’Aso, del Chienti e del Potenza era ritenuto così tenero e pregiato che lo si spediva via treno al Nord. Di fatto, il finocchio Valle Regina è stato repertoriato nella banca dati regionale negli anni 80 dall’ex Assam, oggi Asap. Per l’Agenzia per l’innovazione nel settore agroalimentare e della pesca, si tratta di un’orticola da custodire. Si semina in estate e si raccoglie in autunno, predilige terreni sciolti in quanto garantiscono una crescita regolare di radice e grumolo e necessita di irrigazione costante anche per garantire un prodotto di elevata qualità. «Tuttavia – puntualizza l’agrotecnico – vale sempre la legge del mercato. Se la stagione commerciale non dà le corrette risposte all’impresa, l’agricoltore modifica i suoi piani di coltivazione». A maggior ragione di questi tempi dove non riesce a contenere i costi di produzione. «Vero ma non del tutto – corregge l’agrotecnico -. Perché se i prezzi sono corretti assorbono le spese. ma se non è premiato il produttore allora l’azienda si mette sulla difensiva e rivede le sue programmazioni. Quello che non esclude succederà la prossima stagione».
La zona particolarmente vocata all’ombrellifero nelle Marche è tra il fermano e il maceratese. È lì che si concentra la maggior parte dei circa 130 ettari coltivati. I cugini Vittorio e Gianmario Menatta di Morrovalle (nella foto) gli riservano parte della loro azienda agricola. Lavorano con il trapianto scaglionato e riforniscono regolarmente la Gdo e i grossisti ben otto mesi su dodici. Ad inizio luglio, il primo trapianto e l’inizio del raccolto a metà settembre. «L’ultimo raccolto – entra nel merito Gianmario – ad inizio maggio. Questione di sapore. Più le temperature si alzano, più il finocchio risulta amaro». Un prodotto complicato. «La resa tra 200 e 400 quintali all’ettaro e un’eccessiva dipendenza dall’acqua. «Se manca – spiegano “va in cima” o diventa spugnoso, se piove troppo allora marcisce e, se gela, si macchia subito». Grave handicap per un prodotto che il consumatore moderno esige rotondo, panciuto, bianco e tenero.
Le alterne fortune del finocchio delle Marche
Un buon potenziale produttivo che paga la legge di mercato
di Veronique Angeletti