Al tradizionale pranzo di Natale a Roma per i poveri di Sant’Egidio, ci sarà la lenticchia coltivata sulle colline di Scapezzano di Senigallia da Mirta Manizza. La quale quest’anno, propone solo pacchetti di mezzo chilo, niente sfuso. Parla di un annus horribilis: la siccità ha dimezzato la raccolta delle lenticchie. Da qui la scelta obbligata di riservare la lenticchia ai cesti di Natale «senza cambiare il prezzo – precisa Mirta – e nemmeno diminuendo il peso». Racconta che proprio nell’anno dove hanno investito, ampliato l’azienda e comprato diversi mezzi e macchinari, le entrate sono diminuite al punto che «abbiamo saldato le varie rate con i soldi di un altro lavoro».
Anche Marisa Cococcioni, socio fondatore della Covalm di Fermo, quest’anno ha dovuto fare i conti con un raccolto ridotto, ma per altre ragioni. La sua lenticchia è stata prima vittima di un insetto che si è insediato nel fiore e ha sostituito i semi con le sue uova; poi, una volta raccolta, le rondini hanno fatto banchetto. Al dunque, da due ettari di terreno ha ottenuto 8 quintali di lenticchie mentre, di solito, la resa media ad ettaro è di 10 quintali. «Purtroppo – conferma – la lenticchia è una coltura complicata. Fosse solo per il fatto che richiede “un giro largo” ossia diversi ettari di terreno per la rotazione e non può essere piantata più di due massimo tre volte nello stesso appezzamento».
Un calo che non si è verificato per fortuna nel maceratese, provincia che rappresenta il 79,5% della produzione di lenticchie marchigiana. Bruno Fedeli dell’azienda agraria Monte Castello a Serravalle del Chienti gestisce 1800 ettari di terreni di cui 300 biologici di proprietà. È tra i pionieri nelle Marche della produzione di un ecotipo locale piccolino e molto saporito a cui riserva in media 450 ettari. «Non è una coltivazione facile – confessa l’affiliato alla Confagricoltura – ma negli anni l’abbiamo perfezionata». Come seminare ad inizio inverno per ottenere a 700 metri di altezza slm una pianta radicata in profondità più resistente agli infestanti. Confessa che cambiando regolarmente appezzamento e in rotazione con il farro e poi con l’orzo, riesce ad ottenere 16-18 quintali all’ettaro. «Ma l’arte non basta – aggiunge – è una coltivazione che per raggiungere il consumatore richiede di essere ben attrezzati». Per garantire una filiera corta, ininterrotta e sicura, la famiglia Fedeli ha dotato i suoi prodotti di diverse certificazioni e fatto cospicui investimenti per il confezionamento in una linea dove la lenticchia è ispezionata con i raggi X, c’è un metal detector e si completa con un lettore ottico.
Nell’ecosistema Girolomoni, la lenticchia che fissa l’azoto nel terreno è un prodotto fondamentale per i soci agricoltori della cooperativa Montebello per la rotazione delle colture, ma dal punto di vista commerciale sviluppa meno dell’1% del fatturato di 17,5 milioni realizzati quest’anno. Il core business è la pasta bio in una filiera corta e interamente controllata. «Mentre nel caso dei legumi, non solo lenticchie, ma anche ceci e altri, deleghiamo il confezionamento della nostra materia prima a partner di fiducia – precisa il direttore commerciale Sergio Moretti – è una gamma che vendiamo quasi esclusivamente nel mercato nazionale. All’estero, il 75% del fatturato, vendiamo principalmente pasta».
La lenticchia in Italia (2024)
5.330 ettari
54.912 quintali
La lenticchia nelle Marche (2024)
528 ettari (9,8% della Sau in Italia)
6.049 quintali (11% del raccolto italiano)
Macerata: 79,5%
Pesaro Urbino: 10,5%
Ancona: 5%
Ascoli Piceno: 2,5%
Fermo: 2,5%
Quotazioni 500 gr bio
3 € Serravalle del Chienti
3,50 € Serra de’ Conti
6 € Castelluccio di Norcia Igp