Ricerca ed innovazione sono le exit strategy per un’agricoltura fitofarmaci free come lo richiede l’Europa. Politiche che applicate all’orticoltura fanno delle Marche la regione leader per le piante innestate. Ogni anno non meno di 25 milioni di piantine innestate garantiscono alle aziende di tutt’Italia e all’estero una produzione sicura, elevata e continua di pomodori, melanzane, peperoni, cetrioli, zucchine, meloni o angurie solo per citare alcuni orticoli. Merito del protocollo di Kyoto e dell’agronomo Guido Leopardi della nobile famiglia marchigiana. Il primo perché mise al bando il bromuro di metile, un pesticida ad ampio spettro, abbondantemente utilizzato nelle colture intensive in serra e nocivo per l’ambiente. Il secondo perché ebbe la lungimiranza all’inizio degli anni ’90 di mettere a sistema l’antica arte dell’innesto alle piantine dell’orto.
«Siamo negli anni 2000 – commenta Bruno Mezzetti, professore del D3A dell’Università Politecnica delle Marche (nella foto) – periodo dove cresce la consapevolezza del rischio di contaminazione se non si sterilizza i suoli coltivati in un modo intensivo che non entrano in piani di rotazione». Anni in cui diventano la soluzione le piantine innestate del vivaio Leopardi ad Osimo specializzato nella fornitura per gli orti delle famiglie.
«All’epoca ero ufficiale di Marina e avevo visto la tecnica in Giappone e, dopo il mio congedo, ho studiato il metodo presso la compagnia sementiera Sakata – spiega l’agronomo marchigiano -. Per problemi di spazio, gli orticoltori dovevano piantare sempre nello stesso lotto le stesse piante e, con questa tecnica, si assicuravano una produzione sana, di qualità e abbondante». La messa al bando del pesticida spinge il vivaio marchigiano a sviluppare piantine specifiche per l’orticoltura professionale. Il suo know-how è tale che attira come partner il Centro Seia di Ragusa. Oggi, il suo diretto competitor che ha serre ad Osimo e Cingoli.
La tecnica dell’innesto nasce per coltivare in terreni dove, l’assenza di rotazione colturale, ha determinato l’insorgenza di gravi patologie radicali. Permette di sfruttare le caratteristiche migliori di due piante differenti che, unite in giovane età, danno vita ad una pianta straordinaria. Infatti, ereditando la radice fortissima dell’una (il portinnesto) e i frutti di alta qualità dell’altra, la nuova pianta sarà più vigorosa e produttiva. La tecnica, inoltre, ha consentito di recuperare delle varietà tipiche della tradizione come pomodori, melanzane, meloni che sarebbero rimaste negli orti locali e oggi sono pilastri per l’economia di alcuni territori.
«Andando ad analizzare il germoplasma di alcune varietà selvatiche – entra nel merito il professore Mezzetti – particolarmente resistenti alle malattie del terreno sono state individuate linee rustiche idonee all’innesto. Tecnica innovativa messa a punto dal vivaio “Innesti Leopardi” che richiede una precisione estrema, serre specifiche e personale altamente qualificato».
La tecnica è complessa. Vanno individuati i portinnesti più adeguati alle varietà a seconda dei diversi ambiti di coltivazione e del mercato di destinazione. Va accuratamente programmata la germinazione dei semi. I semi dei portinnesti e delle varietà vanno seminati in modo da avere una crescita omogenea e raggiungere in poche settimane un diametro del fusticino appropriato per la pratica dell’innesto. Poi, c’è la delicata fase di attecchimento (5/10 giorni) perché l’operazione di innesto, di fatto, crea un forte stress alla pianta. «Condizioni – precisa il docente – che impone strutture che garantiscono un’elevata umidità, nutrizione, temperature costante, corretta illuminazione». Infine, segue una fase di crescita in vivaio finalizzata per il trapianto in campo e raggiungere la fase produttiva secondo i tempi previsti dall’agricoltore.
Innesti Leopardi ha siti di produzione ad Osimo e a Montefano che occupano complessivamente 40 mila metri quadri, produce in media 9 milioni di piantine orticole innestate, dà lavoro a 150 persone e dedica il 10% del suo fatturato, intorno ai 6 milioni di euro, alla ricerca e sviluppo. L’azienda collabora con il dipartimento di Scienze Agrarie dell’Univpm per programmi di ricerca e di formazione e ospita studenti come tirocinanti.
Da segnalare infine che a Cingoli (2,5 ha coperti) e Osimo (1,5 ha) vi sono due poli del Centro Seia di Ragusa che ogni anno producono 16 milioni di piantine anche biologiche di cetrioli, zucchine, melone, anguria, melanzane, pomodori e peperoni che vanno a fornire le aziende agricole del centro e del nord Italia, oltre a Francia, Svizzera e Germania. L’azienda ha vivai in serra vicino ai mercati di riferimento in Bosnia Erzegovina (1,5 ha), nel Lot et Garonne (2 ha) e nel Nord Caroline (1m5 ha) negli Usa. Il Centro Seia collabora dal 1992 con il vivaio israeliano Hishtil «il che ci ha portato a compiere nuovi ed efficaci investimenti nello sviluppo tecnologico – spiega il responsabile marketing Francesco Bivona – fino ad ottenere il brevetto per il protocollo di produzione certificato “Elite”, un sistema che garantisce elevati standard di sicurezza sanitaria».