Un diffuso calo delle vendite, alcune campagne internazionali contro l’assunzione di alcol, le guerre commerciali fra Usa ed Europa: non è di certo semplice il momento per la viticoltura italiana. Un comparto strategico e prestigioso per l’agroalimentare nazionale, ritenuto un’eccellenza, ma nei confronti del quale un’errata informazione e le disattenzioni delle istituzioni corrono il rischio di provocare danni consistenti. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Marotti Campi, titolare dell’omonima storica cantina di Morro d’Alba che da oltre un secolo produce Lacrima e Verdicchio.

La narrazione sul mondo del vino oscilla spesso fra una certa retorica, a volte un po’ romantica, che descrive una filiera ricca di storia ed invidiata in tutto il mondo e numeri tutt’altro che incoraggianti. Dott. Marotti Campi quale è la reale fotografia della situazione?
“Ci troviamo in una delle fasi più critiche, perché si incrociano criticità strutturali con problemi contingenti del settore e dei mercati in generale. Se il primo elemento di criticità a mio avvisto è stato il forte calo del potere di acquisto, altri fattori non solo economici incidono sui consumi, come il mutamento delle abitudini alimentari o una pressante campagna globale antialcol dietro la quale sospetto non ci siano solo nobili ragioni salutistiche, ma anche influenti interessi della grande industria dei soft-drink ricchi di zuccheri. Non ultimo, riscontro una lontananza della politica nazionale ed europea dalla realtà specifica del settore e dai suoi problemi, sento discorsi generali completamente scollegati dai delicati equilibri sui quali si regge e questo ci espone ad attacchi da ogni lato. Ne è esempio attualissimo la folle risposta Europea ai dazi di Trump con un dazio sul Bourbon americano che poteva solo scatenare una forte reazione a nostro danno. Questa e altre azioni del genere ci danno l’impressione di essere su una nave in una tempesta con un timoniere dilettante”.
Ritiene ci sia un grande squilibrio tra domanda e offerta?
“Sicuramente questo è il grande problema strutturale di cui si parlava. Abbiamo un sistema vino tarato su livelli di consumo ormai antichi, ma con un numero di attori che è esploso negli ultimi 20 anni sia in Italia che all’estero. In Italia abbiamo molte decine di Comuni tra Emilia Romagna, Puglia e Veneto nei quali è concessa la deroga a vinificare fino a 400 quintali di uva per ettaro, una vera follia anacronistica. Si tratta di un oceano di vino che purtroppo spesso evade le maglie dei controlli e che rischia di coprire la “carta” di vigneti DOC di zone vocate alla qualità più che alla quantità. Questo genera un surplus produttivo spaventoso che non produce nessuna ricchezza per l’agricoltura, ma solo un vantaggio ingiusto per pochi speculatori che imbottigliano masse enormi a costo bassissimo. Quando tu hai singole entità che marginalizzano con 1,20 € a bottiglia e producono più del doppio di tutte le bottiglie di 2000 vignaioli è evidente che qualcosa nel meccanismo si è rotto. Se è vero che si va verso consumi minori bisogna evolvere alla base la struttura produttiva dello stivale, riequilibrare le quote di mercato tra speculatori puri e le aziende verticali che sono il vero motore dell’immagine del vino ed i veri custodi del territorio”.
E in tutto questo si aggiungono anche gli effetti del nuovo Codice della strada che ha portato un drastico calo delle vendite soprattutto nei ristoranti…
“In effetti, fatta salva la sacrosanta tutela della sicurezza stradale, il tempismo non poteva essere peggiore. Ma la vera critica non va tanto al contenuto della riforma, quanto al fatto che è stata buttata là senza un’adeguata campagna di informazione, anzi mi sembra ci sia stata una volontà di terrorizzare. Il tutto si è tradotto in una psicosi da “calice di troppo” e in un calo drastico e repentino dei consumi al ristorante soprattutto fuori dal centro delle grandi città più servite da mezzi pubblici o taxi. In realtà basterebbe informarsi un minimo per scoprire che il tasso invariato di 0,5 è un limite assolutamente ragionevole. In UK il limite è a 0,8, nel resto d’Europa si va da 0,2 a 0,5 ovunque e non significa che non si può bere anzi, per fare un esempio un uomo adulto sui 90 KG mediamente potrebbe arrivare a bere quasi mezzo litro di vino pasteggiando al ristorante e rimanere entro 0,5; una donna 2 o 3 calici, insomma una quantità ragguardevole e comunque più che sufficiente per godere al meglio di buoni piatti e di una buona compagnia senza il timore di perdere la patente o finire in galera”.
Al netto delle innovazioni legislative, a volte creative, delle istituzioni da cosa si dovrebbe partire per segnare un cambio di passo significativo?
“Dal punto di vista produttivo, come ho detto, occorre andare incontro ad un nuovo equilibrio e fare l’esatto contrario di quello che si è fatto recentemente con deroga a vinificare quantità altissime per ettaro. Incentivare l’espianto di un sacco di ettari residuali mal gestiti o in semi abbandono che tuttavia forniscono “carta” DOC che rischia di intercettare illegalmente masse di dubbia provenienza. Da noi c’è il tabù degli espianti, ma è quello che in tutto il mondo si stanno affrettando a fare.
Da piccolo produttore registro numerosissimi controlli nella mia tipologia di Azienda da parte di svariati enti pubblici e forze dell’ordine. I controlli sono benvenuti e sacrosanti perché il loro scopo sarebbe tutelare chi lavora bene, ma forse mi chiedo se non possano essere meglio indirizzati ad arginare il fiume in piena di masse generiche e nei loro rigagnoli che alimentano una grande speculazione.
Dalle istituzioni mi aspetterei un dialogo molto più fitto con i diretti attori del settore che hanno il polso del mercato e possono meglio illustrare le problematiche del momento. Auspicherei una maggiore sensibilità verso le piccole aziende verticali che non possono essere equiparate all’agroindustria, ma che ne subiscono la stessa burocrazia. E dal punto di vista della comunicazione bisogna cambiare registro, non possiamo continuare a battibeccare sulle proprietà salutistiche del vino in opposizione a chi demonizza l’alcol, sarebbe una battaglia persa. Puntiamo sui tanti valori del prodotto che ha accompagnato l’uomo in tutta la sua storia, avremmo tanti argomenti”.