Peste suina, allevatori marchigiani abbandonati a se stessi

Due anni di silenzio dopo l'allarme lanciato da Confagricoltura Marche
Attualità
di Alberto Maria Alessandrini

Quello della Peste Suina Africana (P.S.A.) è un problema di notevole entità che richiede soluzioni drastiche, non ultimo l’intervento dell’esercito per contenere la diffusione dei cinghiali, principali portatori di tale malattia”.

Federico Castellucci

Queste le parole con le quali Federico Castellucci, presidente di Confagricoltura Marche, nel febbraio 2022 rimarcava l’importanza di prendere provvedimenti straordinari per contrastare sul nascere la diffusione di questa malattia nei nostri territori. Una situazione devastante con tassi di letalità per maiali e cinghiali che sfiorano il 90% e che, pur non essendo trasmissibile all’uomo, rischia di mettere in ginocchio un intero comparto. Una filiera da oltre 10 miliardi di euro, che impiega a livello nazionale 40mila posti di lavoro e 2 miliardi di export e che, anche nella nostra regione, coinvolge eccellenza come il prosciutto di Carpegna Dop, il ciauscolo Igp o il salame di Fabriano presidio Slow Food. E gli effetti sul nostro export sono già evidenti con la sostanziale chiusura ai nostri prodotti di diversi mercati esteri.

Un silenzio lungo due anni

Oltre due anni sono passati da quelle riflessioni, ma nulla di sostanziale è stato fato sino ad ora. Modesti gli abbattimenti di cinghiali, vera e principale causa di trasmissione del virus, ed ancora inesistenti gli indennizzi previsti per gli allevatori costretti ad abbattere i propri capi. Perché, un passaggio forse sconosciuto ai più, sono proprio le stringenti norme di biosicurezza e contenimento previste in caso di focali. In presenza anche di un solo animale infetto, selvatico o domestico, si è obbligati ad istituire una zona rossa e ad abbattere tutti i capi presenti, malati e no.

Operazioni drastiche, ma le uniche possibili di fronte ad una patologia che non prevede né cura ne vaccino e che non coinvolgono solo gli addetti ai lavori ma anche tutta la restante popolazione. L’istituzione della zona rossa, infatti, prevede anche pesanti divieti alle attività all’aria aperta per chiunque quali trekking, escursioni, passeggiate in campagna e campeggio proprio per evitare che le persone stesse diventino vettori della malattia.

Responsabilità a vasto raggio

Una situazione estremamente pesante nei confronti della quale la risposta delle istituzioni è stata fino ad ora poco incisiva ma su cui, anche le organizzazioni, la politica e l’opinione pubblica non si sono di certo spese in modo significativo, abbandonando al proprio destino allevatori e trasformatori coinvolti. E solo oggi, dopo più di due anni da quel monito che il presidente Castellucci aveva lanciato in un’intervista rai, è proprio l’esercito ad intervenire tramite un apposito contingente composto da 177 unità con compiti di «bio-regolazione» (leggi abbattimento dei cinghiali nelle zone a rischio) anche per sopperire a quanto non fatto da cacciatori ed ATC fino ad ora.

Un intervento atteso da molti sulla cui efficacia restano comunque alcuni dubbi. L’Italia del resto è pur sempre il paese dove, in barba al dilagare della P.S.A., si introducono alzate di ingegno notevoli quali la creazione dello status del “maiale da compagnia” che può essere tenuto in casa senza sottostare a tutti i controlli dei suoi simili “da reddito” oppure quello in cui si decide di censire i “santuari” delle associazioni animaliste quali strutture equiparate agli allevamenti degli agricoltori, ma senza i vincoli che questi ultimi hanno in tema di controlli, spostamenti e movimentazioni dei capi.

Un vero e proprio caos figlio di un pensiero troppo spesso influenzato da derive eco-animaliste antiscientifiche tutt’altro che lungimiranti e che avranno come vittima principale non solo gli operatori del settore ma che gli stessi suini costretti a perire fra le atroci sofferenze che la peste suina porta con sé. Perché, anche volendo sorvolare sui danni di natura economica che il dilagare della malattia crea (chiusura di allevamenti, blocco delle esportazioni, etc..), anche solo sul piano etico qualsiasi ostruzionismo o ritardo nell’applicazione dei rigidi protocolli teoricamente previsti determinerà il dilagare di un virus che porta si alla morte degli animali ma solo a seguito di complicazioni, emorragie e dolori insopportabili.

Tags: Castellucci, in evidenza, Peste suina

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