Peste suina e cinghiali, monito ai cacciatori

Dal convegno di Osimo un avvertimento: o si riducono ora, o si corre il rischio di non sparare più
Attualità
di Alberto Maria Alessandrini

Sono oltre 20 le aree in Italia con focolai accertati, diffusi a macchia di leopardo per tutto lo stivale. Dal Piemonte al Lazio, dalla Lombardia alla Campania sono sempre di più le regioni colpite, mentre risultano fortunatamente ancora indenni le Marche. Anche se, stando alle proiezioni statistiche, potrebbe essere solo una questione di tempo.

Una diffusione rapida dovuta all’alta contagiosità della malattia aiutata sia dal trasporto, inconsapevole, del virus compiuto dall’uomo, sia dai cinghiali. L’aumento costante e considerevole di questi animali, infatti, sta rappresentando un serio ostacolo nell’arginare l’epidemia (che si ricorda non è comunque contagiosa per l’uomo).

L’intervento dell’assessore regionale Antonini

Questioni di stretta attualità, quindi, delle quali si è parlato anche in un partecipato convegno svoltosi ad Osimo la scorsa settimana, organizzato da Federcaccia e moderato dall’agronomo Francesco Mazzieri. Autorevoli i relatori intervenuti fra i quali l’assessore regionale Andrea Maria Antonini ed il presidente del parco del Conero Luigi Conte.

L’intervento del presidente Antognoni

Interessante il punto di vista espresso da Paolo Antognoni, presidente regionale dell’associazione venatoria, che ha ricordato come la diffusione della malattia abbia innanzitutto delle ripercussioni gravissime per il comparto agroalimentare nazionale. Le stime più ottimiste parlano tra i 20 e i 30 milioni di euro al mese di danni, cifre rilevanti alle quali potrebbero aggiungersi, però, una serie di effetti collaterali anche per i cacciatori stessi (vietando, ad esempio, la caccia in braccata).

In presenza di focolai, infatti, le prime inibizioni andrebbero a colpire proprio tutte le attività all’aria aperta nell’area dei contagi (inclusi trekking, escursioni, eventi, etc.). Da qui l’importanza che anche cacciatori, selettori ed operatori faunistici si facciano parte attiva nella diminuzione delle popolazioni di cinghiali, senza essere eccessivamente “parchi” nel prelievo.

Molto partecipato l’incontro di Osimo

Concetto simile espresso anche dal dott. Paolo Ottaviani, dirigente veterinario dell’AST, il quale ha prima di tutto ricordato la genesi della malattia e le ragioni alla base di una diffusione così rapida causata da aspetti tutt’altro che note. Dall’est Europa, infatti, gli iniziali vettori del contagio sono probabilmente stati i trasportatori che, durante le soste, hanno abbandonato rifiuti e scarti di cibo infetti poi mangiati dalla fauna selvatica. Non a caso i primi focolai in Italia sono comparsi proprio in corrispondenza di snodi autostradali ed infrastrutturali (Piemonte e Liguria). Altra causa i lavoratori di quegli stessi paesi che, rientrando in Italia dalle vacanze, hanno portato con loro alimenti a base di carne di suino già infetti divenuti poi rifiuti mangiati dai cinghiali. In tale situazione è intuibile comprendere come una malattia che colpisce i suini, ma che può essere facilmente “trasportata” dall’uomo, in un territorio saturo di cinghiali trovi terreno fertile (oltre 1170 i focolai accertati di cui solo una trentina dentro allevamenti).

Da qui il concetto principale alla base degli interventi di molti dei relatori: se si vuole rallentare il contagio (e proseguire anche le attività venatorie) è indispensabile ridurre sostanzialmente il numero di cinghiali selvatici. Questione apparentemente scontata che, però, continua a trovare alcuni tentennamenti proprio da parte del settore faunistico/venatorio spaventato dal fatto che possano in quale modo esaurirsi tali animali (fra i pochi rimasti ancora “cacciabili”). Un circolo apparentemente vizioso che però, se non sbloccato, potrebbe determinare non solo una diffusione irreversibile del contagio, ma anche la fine definitiva della caccia.

Del resto di fronte ad una mortalità della PSA che sfiora il 100%, e che condanna gli animali colpiti ad atroci sofferenze, in assenza di vaccini o cure efficaci l’unica via percorribile rimane eliminare ogni possibile vettore del contagio. Una decisione apparentemente drastica, ma che rappresenta l’unica scelta attualmente percorribile, soprattutto alla luce dei circa 2 milioni di cinghiali che attualmente popolano la penisola.

 

Tags: cacciatori, cinghiali, in evidenza, Peste suina

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