Siamo in una regione che – almeno finora e continuando ad incrociare le dita – è stata risparmiata tanto dagli eccessi di precipitazioni che hanno colpito il nord (con gravi danni a strutture e raccolti su tutte le principali colture), quanto dalla prolungata siccità con cui convivono alcune regioni del Sud a forte vocazione cerealicola dove l’assenza di piogge ha portato a stimare una produzione di grano duro attorno a 3,5 milioni di tonnellate. Se la previsione fosse confermata dalle cifre reali, sarebbe il raccolto più basso da dieci anni e gli oltre 4,5 milioni di quintali prodotti nelle Marche porterebbero la nostra regione ad una quota produttiva in percentuale nazionale significativamente elevata.
Ma ovviamente non possiamo ricondurre la visione agricola ad una sola dimensione regionale, perdendo di vista quella prospettiva nazionale in cui le Marche sono comunque coinvolte a pieno titolo per tanti motivi. Per questo anche dalla nostra regione cresce l’esigenza non solo che vengano attivate con urgenza tutte le misure possibili per il ristoro dei danni e per la ripresa produttiva, ma anche che si sappia guardare oltre. In questo senso, per Confagricoltura, il cambiamento climatico impone l’adeguamento degli assetti nomativi nazionali in vigore per favorire la diffusione delle polizze assicurative; ridurre il costo a carico degli agricoltori; puntare su una più stretta collaborazione tra pubblica amministrazione e sistema assicurativo per accelerare le procedure di ristoro dei danni.
Il tema della gestione del rischio va posto, poi, anche a livello europeo. La vigente riserva di crisi della PAC dovrebbe essere destinata, con una dotazione accresciuta, a supportare in termini finanziari le iniziative assunte dagli Stati membri. A fronte dell’instabilità dello scenario internazionale, la sicurezza alimentare è tornata ad essere un requisito strategico e per questo vanno favoriti tutti gli strumenti utili per tutelare le attività produttive delle imprese agricole.