Le cause del dissesto idrogeologico sono molteplici: una non corretta pianificazione territoriale, che ha consumato pesantemente i suoli, solitamente più fertili, delle piane alluvionali e un costante abbandono di aree agricole marginali, con la relativa scomparsa di antiche sistemazioni idraulico agrarie ma, soprattutto, di quella attività di manutenzione territoriale, di difesa attiva, che consisteva nella cura di un reticolo idrografico minore e della gestione delle acque di scorrimento superficiale fondamentale per evitare frane ed esondazioni.
Il cambiamento climatico sta enfatizzando il dissesto idrogeologico con una maggior frequenza di incendi boschivi, un maggior rischio idrogeologico e idraulico, un impatto negativo sulla produzione agricola e un calo della sua resa, siccità prolungata e rischio desertificazione, con rischio per la disponibilità di acqua potabile ed effetti sulla salute, oltre a maggiori costi energetici.
Impatti considerevoli anche nelle aree urbane, con le ondate di calore, la carenza di acqua, i notevoli costi per la refrigerazione delle aziende e delle abitazioni. Inoltre, sempre di più accadono forti precipitazioni con danni e vittime come conseguenza delle alluvioni nelle aree urbane.
In questi decenni la pianificazione ha sempre e solo dato particolare importanza al contesto urbano, alle infrastrutture viarie urbane, alle abitazioni, alle aree industriali e commerciali. Oggi, con il cambiamento climatico, si stanno maturando consapevolezze che per esempio, le alluvioni si debbano gestire in ambienti non urbani, e volutamente non nomino l’ambiente agricolo, perché gli agricoltori non sono un soggetto coinvolto, se non per l’uso, sull’esproprio, del terreno agricolo.
In realtà i problemi delle aree urbane trovano soluzione nelle aree agricole-forestali. La disponibilità di acqua con la gestione dei deflussi e degli accumuli idrici superficiali e profondi, la prevenzione del dissesto idrogeologico, dalle frane, alle alluvioni con le aree di laminazione, alla gestione dei sedimenti fluviali e quindi della dinamica della costa, la gestione della biomassa in una prospettiva di pianificazione nelle aree alluvionabili. Sono tutte azione che trasformerebbero le aziende agricole in soggetti con la diretta gestione del territorio, non solo visto per la produzione agricola, ma anche per la tutela delle acque e la prevenzione del dissesto idrogeologico.
Oggi sarebbe opportuno riconoscere, veramente, agli agricoltori la valenza multifunzionale della loro permanenza sul territorio, come presidio funzionale ed economicamente sostenibile ma, soprattutto, riconoscere agli agricoltori un ruolo di preminenza e di priorità nella collaborazione con i soggetti pubblici per la corretta gestione delle risorse idriche, della manutenzione del reticolo idrografico e delle pendici collinari, in una pianificazione per la transizione e adattamento climatico per il nostra territorio.
La soluzione è in un sistema organizzato dall’interno della realtà agricola che incentivi gli agricoltori a utilizzare pratiche agronomiche che riducano il rischio idrogeologico e a sviluppare buone pratiche agronomiche durante il riposo per favorire l’assorbimento di corpi idrici in stagioni piovose, con conseguente allungamento dei tempi di corrivazione e recupero delle sistemazioni idraulico agrarie (dai terrazzamenti, ai ciglionamenti con riduzione delle portate solide e minore erosione).
Si tratta, quindi, di proporre una alleanza fra gli agricoltori, le amministrazioni di governo del territorio e determinati settori economici. Un’alleanza che veda gli agricoltori non più come una parte residuale, ma come protagonisti non solo della produzione di alimenti sani a salubri, ma anche come coadiutori del mantenimento di beni pubblici come il paesaggio e la mitigazione al cambiamento climatico.
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