Gelate precoci e grandinate vicine alla raccolta. Ma anche piogge abbondanti e parassiti, con la cimice asiatica a fare da protagonista. Sono i principali fattori che emergono parlando di produzione di pesche in Italia, con una narrazione dettata da stime e testimonianze che non passa più per la dolcezza del frutto ma per le “difficoltà” della sua coltivazione.
In controtendenza con le stime europee, la pesca italiana soffre in modo particolare cambiamento climatico e fenomeni meteorologici intensi, perdendo il 10% di quantitativo rispetto al 2022 (900 mila tonnellate stimate quest’anno, quasi un quarto della produzione europea). Se poi dal piano nazionale ci si sposta al contesto locale, la situazione si accentua. O almeno, è quanto accade se si guarda alla produzione di pesche in Valdaso dove la produzione del 2023 ha segnato un -30% su quanto raccolto lo scorso anno.
“Danni da gelo e da grandine con le piogge di maggio che hanno influito sulle malattie” i principali fattori – spiega Paolo Acciarri (nella foto) dell’omonima azienda agricola di Ortezzano – che nella media Valle dell’Aso, su circa 100 ettari di terreno, produce pesche, mele, kiwi, pere, ciliegie, susine e albicocche. Malattie fungine, con la “monilia nelle drupacee e la tignolatura nelle pomacee” che, nonostante i trattamenti fino a fine luglio, hanno influito in modo importante sulla salute del frutto. Poi, le cimici asiatiche e le forficole che “pungendo” il frutto ne provocano deformazioni e alterazioni della polpa.
Lotta integrata e teli antigrandine – “Dai parassiti non è facile difendersi in modo immediato” aggiunge Acciari che spiega come “l’80% di aziende in Valdaso siano in lotta integrata”, una tecnica di difesa delle colture che all’uso di fitofarmaci predilige il metodo più “green” della confusione sessuale o dell’introduzione nell’ambiente di specie nemiche. Ancor più difficile contrastare i danni da grandine per i quali l’unica soluzione sarebbe la copertura dei frutteti con i teli “antigrandine”, molto costosi e privi di incentivi: “coprire un ettaro costa circa 30.000 €).
La produzione, anno dopo anno, diventa così sempre più a rischio. “Una volta la valle era tutta fiorita di pesche, ora rimangono solo in pianura. In collina la produzione è sparita” racconta Acciarri. A scoraggiare i produttori inoltre, il problema delle assicurazioni dalle grandinate, sempre più difficili da stipulare, e la realtà di un commercio frammentato “per il quale servirebbe un’unione su modello dei consorzi melicoli del Trentino Alto – Adige”.
Perla rosa ma incompresa – Eppure, come le perle rosse e gialle altoatesine, la perla rosa delle Marche avrebbe tutte le carte in regola per essere, almeno, tutelata e protetta. La sua ricchezza sta proprio nel territorio dal quale prende vita. Tondeggiante e rosa, il segreto delle sue qualità organolettiche, è proprio la Valdaso, luogo unico dove “l’inquinamento non esiste” e le montagne più alte della regione convivono con il mare in poche decine di chilometri. Per la sua fertilità chiamano la valle “il giardino delle Marche”, genesi di specialità fruttifere uniche, come le pesche, purtroppo a rischio e paradossalmente prive di tutela.
Iniziative e proposte sono arrivate in passato dai produttori stessi. “Sono anni ormai che si fanno progetti per farla riconoscere ma non si è mai riusciti a portarli a termine”. Una realtà che scoraggia e fa sentire soli chi, tra clima che cambia e pesche che marciscono sugli alberi, continua comunque a colorare la Valdaso delle sue perle rosa.