Le Marche sono la seconda regione produttrice in Italia di lenticchia. Un legume trendy, in crescita per ragioni salutistiche ed ambientali. È povera di grassi, ricca di fibre, un’ottima fonte di proteine vegetali e, abbinata a cereali, vale quanto la carne. Ma più di tutto ha una ridotta impronta idrica (produrre 1 kg di lenticchie richiede 50 litri di acqua, mentre 1 kg di carne di manzo ne necessita di 13 mila) e migliora la qualità del terreno (le radici fissano l’azoto preso dall’atmosfera).
MEDAGLIA D’ARGENTO
Con 1.122 ettari coltivati, le Marche rappresentano quasi il 20% della superficie agricola coltivata a lenticchia in Italia (5.710 ettari) e produce 12.322 quintali (l’Umbria è a quota 14.700). Nel 2021, l’82% del made in Marche (10.140 quintali) è stato raccolto nel pesarese (869 ettari), soprattutto in agricoltura biologica. Mentre nell’altopiano maceratese sono 205 ettari (18% degli ettari marchigiani) dedicati alla leguminosa con una produzione di 1.524 quintali, il 12 % del volume regionale.ùIl merito di aver rimesso in auge la lenticchia nel pesarese è del “Consorzio Terrebio” di Urbino quasi 25 anni fa. Raggruppa un’ottantina di imprese ed è a capo di decine di contratti di coltivazioni che, ogni anno, destinano circa 600 ettari alla leguminosa. Riforniscono il mercato di lenticchie gialle, rosse, verdi e quelle di montagna in pacchi da 500 gr e in sacchi da 25 chili per l’ingrosso, anche decorticate.
«Non è un legume facile da coltivare – spiega il presidente Maurizio Gambini ed attuale Sindaco di Urbino – e la sua lavorazione ha richiesto non pochi investimenti». Ci vogliono macchinari specifici per la raccolta (la pianta è alta 15-20 cm), selezionatori ottici per un prodotto senza difetto, impianti di asciugatura con scambiatori di calore per non alterare il sapore. Da 2 o 3 anni, il prezzo sta ripagando l’agricoltore dello sforzo. Per anni il kg valeva 70 centesimi, oggi sfiora 1,20 euro. Gambini ricorda che si tratta di una coltivazione fondamentale per le rotazioni colturali, ma svela che, nonostante tutti i suoi pregi, l’agricoltore esita a piantarla. «Nelle sue scelte colturali, è influenzato dal problema dei cinghiali che, ghiotti di legumi, distruggono i campi e, poi, nonostante sia una pianta resistente, subisce il cambiamento climatico ed è vittima della siccità. Quest’anno la resa è stata della metà, 8-10 quintali all’ettaro».
NUOVO MISCUGLIO
Resa confermata da Bruno Sebastianelli, il Presidente della Cooperativa biologica di Piticchio d’Arcevia “La Terra e il Cielo”. «Nei nostri 20 ettari l’anno scorso abbiamo raccolto solo quanto basta per riseminare». Affronta il problema con i genetisti ascolani di fama internazionale Salvatore Ceccarelli e Stefania Grando con “la lenticchia evolutiva”. Lavorano con l’International Center for Agricultural Research in the Dry Areas (Icarda) e hanno ottenuto straordinari risultati con il frumento duro (mescolando 700 tipi diversi) e quello tenero (2000 tipi). Il noto “Miscuglio d’Aleppo”. «Una popolazione evolutiva – spiegano – non è altro che una mescolanza di tantissime varietà diverse della stessa specie. Si tratta di miglioramento genetico partecipativo-evolutivo, perché la coltivazione si salva meglio da malattie, erbe infestanti nuove, cambiamenti climatici perché una parte riuscirà sempre a cavarsela». Popolazione, nel caso della lenticchia, che vogliono comporre come per i fagioli partendo dai tempi di cottura dei vari tipi.