Storie di bachi da seta e gelsi storici…

La rinascita della bachicoltura ascolana tra tradizione e innovazione
Attualità
di Giorgia Clementi

Un tempo diffusa in tutta Italia, la bachicoltura ha una storia lunga e affascinante. Come fili di seta intessuti tra loro, essa intreccia il passato di luoghi lontani, di popoli che hanno fondato la propria immagine culturale su una natura fatta di bachi e piante di gelso, di pratiche artigianali e legami commerciali che hanno contribuito a rendere grandi paesi ed imperi.

Come in Cina, anche in Italia in passato, il baco da seta, conosciuto scientificamente come Bombyx mori, veniva allevato in molte case contadine per produrre il prezioso tessuto. Guardando alle Marche, nel Piceno iniziò a diffondersi dal 1800 con il fiorire dell’industria della seta che fece di quella parte di regione, un distretto produttivo noto in tutta Europa. La produzione tessile cessò con l’arrivo sui mercati della più economica fibra sintetica che abbassò la domanda di seta e fece abbandonare l’allevamento dei bachi, ad oggi tutelato e conservato dalla sola Azienda Agricola La Campana.

Il baco ascolano, bianco e nero

Avevamo conosciuto la realtà dell’Azienda agricola La Campana parlando di tinture naturali derivate dalla coltivazione del guado. Così come per le tinture, l’estro e la curiosità di Alessandro Maria Butta permisero, nel 2006, di riscoprire la razza locale che, un tempo, era protagonista della bachicoltura marchigiana, ovvero il baco “Giallo Ascolano”.

Elisa Nichetti, az. agricola La Campana

A raccontarci le caratteristiche del tipico baco da seta, la sua storia e l’allevamento fatto oggi è Elisa Nichetti. La varietà si chiama Giallo ascolano – spiega – perché ad essere giallo è il bozzolo. I bachi invece sono a strisce bianche e nere”.

Una varietà importante dal punto di vista storico che ebbe un ruolo fondamentale nel 1840 quando nel mondo si diffuse l’epidemia di pebrina: “un morbo, di natura contagiosa, che distruggeva interi allevamenti riducendo drasticamente le rese produttive. La bachicoltura andò in crisi e proprio i bachi di Ascoli furono portati in Giappone per salvare le attività”.

Nel 2006, Alessandro Maria Butta iniziò ad interessarsi ai bachi, mentre provava a tingere la seta con le tinture naturali. Racconta Nichetti: “si ricordò di un’insegnante che in passato faceva vedere i bachi da seta ai bambini a scuola. La contattò e lei gli raccontò che alcuni anziani di Brecciarolo avevano ancora l’hobby di allevarne”. Reperiti alcuni bachi, Alessandro iniziò ad osservarli e, attraverso testimonianze e racconti, capì che quelli originari del luogo erano quelli bianchi e neri che davano vita al bozzolo giallo. “Da lì nacque il dialogo con il CREA di Padova ed il percorso che ci ha portato poi ad essere riconosciuti come i custodi della varietà”.

Come si alleva un baco da seta?

Il baco esce da un uovo, è la larva di una farfalla – inizia a spiegare Elica Nichetti -. Dal momento in cui esce il bruco al momento in cui si imbozzola passano 20 giorni. Dopo 10 giorni dall’imbozzolamento andrà a sfarfallare finché il suo ciclo vitale non si concluderà con l’accoppiamento e poi la morte. Questo perché a livello di vita lo stato naturale del baco è quello di essere bruco”.

L’uovo è grande come un seme di papavero mentre il baco pian piano arriva ad essere lungo anche 8 centimetri. Si sfamano solo di gelso e “all’inizio bisogna tagliare le foglioline più tenere a piccoli pezzetti, poi successivamente a listarelle, finché alla fine non diventano in grado di mangiare foglie intere direttamente dal ramo”. L’allevamento consiste nel far sviluppare le uova finché non si aprono i bozzoli.

Vicini all’apertura, alcuni bozzoli vengono lasciati rompere dalle farfalle per il proseguimento della specie, altri vengono invece essiccati prima che la falena possa uscire: “uscendo dal bozzolo, le falene infatti tendono a rovinare l’involucro e sporcarlo, così l’unico modo per riuscire ad utilizzarlo nella sua integrità è essiccarlo ed estrarre ,dopo l’essiccazione, la crisalide dall’interno”.

Alleato della cosmesi

Se la filiera della seta è nelle Marche un ricordo ormai appartenente al passato, negli ultimi anni i bachi da seta sono entrati all’interno di altri settori, come il comparto cosmetico e farmaceutico. In primis perché il baco contiene proteine ad alto valore biologico, così come sono ricchi di grassi e proteine anche i composti della larva e la corteccia.

Il bozzolo è fatto di fibroina, non solubile, e sericina, solubile – conclude Nichetti. La sericina se ne va al contatto con l’acqua calda mentre la fibroina che rimane è un ottimo alleato per la pelle e le imperfezioni. Inoltre si lega in modo perfetto alla cheratina, perfetto dunque per la realizzazione di numerosi prodotti estetici”. Tra questi i bozzoli di seta per la produzione di uno scrub.

Gelsi bianchi e storici

Un’ultima caratteristica della bachicoltura marchigiana riguarda infine i gelsi. Il gelso destinato all’allevamento è il gelso bianco, presente sin dal passato nella zona: “si trovavano filari di gelsi nelle abitazioni di campagna e c’era l’abitudine di andarne a raccogliere per portarne a chi possedeva bachi da seta”.

Lo scorso anno, sono arrivati ad Ascoli alcuni rappresentanti del CREA di Padova che, insieme a La Campana, ha dato vita ad un censimento dei gelsi storici nell’ambito del Progetto Aracne per “Sostenere il ruolo della seta nell’arte e della sua eredità culturale, a livello nazionale e su scala europea”.

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Tags: agricoltore custode, baco da seta, gelso, in evidenza

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