È con il tacchino che le Marche ricordano che sono state una delle regioni italiane patria delle razze avicole. La tradizione si nota tuttora nelle statistiche nazionali dove pesiamo di più come numero di allevamenti (4,24%) che come capi allevati (1,50%), ma più di tutto nella bella presenza del dindo nelle basse corte delle fattorie e nell’aia delle famiglie. La traccia di un passato dove il gallinaceo era fortemente diffuso, quasi un’industria, come lo attesta il fabrianese Marcoaldi nel suo trattato del 1879 che scrive di «un ricco traffico di famigliole di Arcevia, Pergola, Monterosso di Sassoferrato» o il capo dell’ispettorato agrario Consolani nel suo rapporto del 1936 riferendosi all’ascolano. Un’economia che ha lasciato in eredità il tacchino rustico o Nostrano-Galnacc-Dindo, detto “Tacchino marchigiano” custodito dai soci dell’Acap, Associazione Colombofila Avicunicola Picena. Associazione che, dal 1984 si occupa dell’allevamento del colombo ascolano ma, da qualche lustro, con l’Amap è impegnata nel progetto della salvaguardia della razza inclusa quella del coniglio nero gigante del Piceno e della gallina marchigiana.
«Si tratta – spiega il presidente Gabriele Brandimate – di un tacchino piccolo, al massimo pesa 6,5 chili il maschio e 3,5 kg la femmina». Da una ricerca storica curata dal brigadiere capo dei Carabinieri del Corpo forestale Angelo Guido Cantalamessa emerge che «è un animale rustico, pascolatore quindi in grado integrare la propria dieta con cibo raccolto nei campi e con ottima capacità alla cova». Una volta, la tacchina era usata come chioccia naturale poiché in grado di accudire più covate anche di altri avicoli. Per l’aspetto, anche qui domina la pragmaticità del marchigiano. «C’è una variabilità del piumaggio superiore a quelle individuate dal citato Marcoaldi (una nera ed è la migliore l’altra bianca, la terza giallastra e la quarta grigia) – precisa Brandimate – . Sono bianco, nero, grigio, bronzato, ermellinato e ciò è dovuto al fatto che gli animali arrivati a noi sono di provenienza da piccoli allevamenti rurali dove non si badava ai colori ma alla produzione».
In sintesi, un tacchino leggero che procaccia il cibo da solo, integra la dieta con tanti semi, insetti, il che aumenta la qualità, la consistenza e la sapidità delle sue carni ma più di tutto può autoriprodursi senza oneri, non necessita incubatrice, alleva la prole senza l’aiuto dell’uomo. Animali custoditi attualmente in fattorie a carattere familiare allo stato semibrado a Colli del Tronto, Acquaviva Picena, Macerata, Monteprandone e nell’azienda più strutturata di Sassocorvaro di Antonio Guerra.
Nella filiera Fileni, il tacchino rappresenta meno del 4% del fatturato complessivo del gruppo marchigiano. «È una carne ottima, ideale per tutte le diete ma dal consumo altalenante – commenta il direttore generale Simone Santini -. S’impenna durante i giorni di festa e poi è moderato durante tutto l’anno». Lo attribuisce al gusto (ha un sapore molto meno neutro del pollo) e alla fretta (richiede una cottura più lunga non tanto la fesa ma la coscia, più tenace, ricca di tendini. «Di fatto, lo spazio riservato al tacchino nei supermercati – fa notare – è molto ridotto». Nella filosofia produttiva, l’allevamento del gallinaceo che necessita tempi maggiori di crescita, è considerato un prodotto complementare su cui tuttavia Filena investe come proposta gastronomica. Lo accoppia al pollo e alle proteine vegetali di piselli, lenticchie rosse e mais nel “Burger 50% & 50%” od ancora alle verdure e all’orzo in un piatto piccante, energizzante e ben bilanciato.
La carne di Tacchino (2023) in Italia
- 272.600 ton. Produzione
- 234.700 ton. Consumo Interno
- 116,1% Percentuale di autoapprovvigionamento
- 18,4% quota consumo nelle specie avicole (+1,6% rispetto al 2022)
- 3,99 kg il consumo pro capite
Gli allevamenti Marche/Italia
- 32 allevamenti nelle Marche, il 4,24% di quelli italiani:
19 in provincia di Macerata, 5 in quella di Fermo, 4 in quella di Ancona, 2 in quella di Pesaro e Uebino, 21 in provincia di Ascoli Piceno - 142.079 capi, il 1,50 % dei tacchini italiani