Il “Re bianco” è in difficoltà. Patisce i cambiamenti climatici e la non corretta governance dell’uomo. Emblematica, la cronaca dei primi giorni dello scorso settembre quando una provvidenziale grandinata tra Apecchio, Piobbico e Sant’Angelo in Vado ha fatto nascere tanti tartufi bianchi. Occasione troppo ghiotta per alcuni cavatori che, nonostante il divieto di raccolta, hanno fatto tabula rasa. «Una fortuna improvvisata che andava lasciata sul posto» denuncia Paolo Topi, il vicepresidente della Federazione italiana tartuficoltori associati e vice dell’associazione tartuficoltori di Acqualagna che aggiunge: «Avrebbe creato le condizioni ideali per rigenerare con il seme l’areale».
Anche perché si prospetta che spetterà al Tuber Magnatum Pico assicurare un futuro al tartufo italiano che, tuttora, al livello globale, guida la produzione e l’export.
Secondo Businesscoot, nel 2024, il valore stimato del mercato globale dei tartufi è di 404,71 milioni di dollari di cui poco più della metà generato dal bianco. Un valore che aumenta con un tasso medio annuo del 7,92% fino a raggiungere 592,45 milioni di dollari nel 2029. Un trend su cui vari mercati hanno scommesso quindici anni fa investendo sulla coltivazione dell’oro nero e, oggi, vantano risultati impressionanti. Il caso della Spagna, insegna. Il tartufo di pregio prodotto nel Comune di Teruel in Aragona quest’anno ha superato per produzione quello francese di Perigord. Il che conferma che sta cambiando la geografia dell’offerta dove le Marche, da sempre, fanno da locomotiva ma possono rimanerla in quanto siamo tra le rarissime culle del Tuber Magnatum Pico e garantiamo tartufo fresco tutto l’anno.
Ma questo impone nuovi indirizzi. Se dieci anni fa, due bianchi su tre si raccoglievano nelle Marche, adesso sono solo quattro “Magnatum” su dieci. «Motivo per cui va modificato il calendario delle raccolte – suggerisce Paolo Topi – o ridotti i prelievi per uno magari due anni e consentire agli areali di rigenerarsi e così rilanciare la produzione. Poi – aggiunge – ci vogliono nuove leggi per impedire il degrado che, più del cambiamento climatico, è all’origine del calo drastico della raccolta». Suggerisce di diffondere le buone pratiche, di imporre migliore tecniche al taglio dei boschi, alla gestione del territorio. Come arare meno in profondità o dare spazio alle piante simbionti (carpino nero, roverella…) e a quelle commare (ginepri, ginestra…).
Una visione che richiede metodo. Di fatto, la sua associazione ogni anno aggiunge un tassello ad un programma su cui basare la futura economia del tartufo marchigiano. Quest’anno, ha mappato gli areali del bianco e, con il Comune di Acqualagna, mira a fare un campo di prova per la coltivazione del tartufo bianco in atto nelle Marche dal 1990.
L’esperto mondiale Gianluca Gregori, già direttore del Centro sperimentale di tartuficoltura a Sant’Angelo in Vado, ha inoculato le piante per micorizzarle e seguito l’evoluzione dei siti. «Abbiamo un patrimonio di conoscenze scientifiche – afferma – che ci permetterebbero di attivare politiche precise a tutela di un terroir – ricorda – ricco di microrganismi e di biodiversità per caratteri ecologici, tipologia vegetazionale, natura dei substrati e dei suoli, del tutto assenti altrove».
Nel Complemento di SviluppoRurale Marche 2023-2027, per la tartuficoltura è previsto un fondo di 1,7 milioni di euro con un contributo pari all’80% della spesa ammissibile di 13mila euro ad ettaro a sostegno dell’analisi e della lavorazione del terreno, dell’acquisto e messa a dimora di piante certificate e della recinzione. La Regione, inoltre, ha istituito un “Tavolo permanente di filiera sul tartufo” con rappresentanti dell’Assemblea legislativa, delle associazioni dei tartufai, dei tartuficoltori, dei trasformatori e commercianti, dei Centri sperimentali, delle associazioni agricole e delle Unioni montane.
Le tartufaie una felice e redditizia soluzione agro-forestale che tuttavia esigono quel corretto censimento fatto dall’associazione marchigiana. «In quanto aiuta ad individuare gli “habitat selettivi” -conclude l’esperto – e quindi imporre accorgimenti necessari da rendere obbligatori come lasciare un margine con i terreni coltivati, regimentare le acque superficiali per non interferire nel reticolo del sito; vietare i mezzi che distruggono le connessioni tra gli alberi e le formazioni vegetali».
Il valore del tartufo nel mondo (2024 stimato)
377,5 milioni € + 7,92% è il tasso medio di crescita annuo
Il tartufo in Italia
235 Ton. /anno è il volume stimato della raccolta:
21 % o 50 Ton. di Bianco
35% di Tartufo Nero pregiato
25% di tartufo Nero estivo
10 % di brumale e moscato
6 % di scorzone autunnale e mesenterico.
Il tartufo nelle Marche:
3600 ha di tartufaie coltivate
13 mila cercatori tesserati
50-0 Ton. o il 21-25% della produzione italiana
15/20 Ton. di Tuber magnatum Pico (che equivale al 40% della raccolta del Bianco in Italia ma, nel 2012, rappresentava quasi il 70%)
10/12 Ton. di Tuber melanosporum (pregiato)
23/25 Ton. di Tuber aestivum/uncinatum
2/3 Ton. di Tuber borchii (bianchetto)
Coltivazione per ettaro
60-80 kg, 1 ha di nero pregiato (200-400 piante)
200 kg, 1 ha di nero estivo (400-500 piante)
Prezzo Medio (1°novembre 2024)
Bianco pregiato 3.030,82 €/kg
Nero Pregiato 1.298,75 €/kg