Nell’ambito del tartufo, le Marche s’impongono con primati che creano economia. È l’unica regione scrigno di nove tipologie edibili; culla della prima tartufaia coltivata impiantata nel 1932 ad Acqualagna da Francolini ed ha avuto tra i suoi ispettori forestali Mannozzi Torini, il padre della moderna tartuficoltura. Ma, più di tutto, da 40 anni, a Sant’Angelo in Vado, ha un Centro sperimentale di tartuficoltura, ritenuto un’eccellenza mondiale, dove si coltivano e si certificano piante inoculate con il micelio tartufigeno di funghi simbionti. Infine, da lustri, nell’ascolano, l’azienda agricola Angelozzi ha messo a punto la tecnica ideale per portare a compimento il ciclo biologico del tartufo fino alla sua fruttificazione. Quella tecnica è considerata un must per i tartuficoltori del Périgord e in tante altre parti del mondo. Le Marche, quindi, hanno il territorio vocato, le piante micorizzate e il metodo ed è questa attività agroforestale che il Complemento di Sviluppo Rurale (ex Psr) mira, con incentivi, a mettere a sistema, ma con un upgrade. Nelle sue linee d’azione cerca di potenziare nei conduttori e nei raccoglitori la consapevolezza dei bisogni e della fragilità degli habitat di raccolta. Obiettivo che accompagna con l’istituzione recente del “Tavolo permanente di filiera del Tartufo” da parte dell’assessorato regionale agricoltura guidato da Antonio Maria Antonini.
«Lo impongono i cambiamenti climatici in atto» entra nel merito Paolo Topi, il presidente dell’Associazione Nazionale dei Conduttori Tartufai, sodalizio che ha sede in Acqualagna e rappresenta 300 tartuficoltori italiani. «Qui non si tratta di coltivare un bosco, ma sono impianti che impongono una conoscenza scientifica del terreno e specifiche pratiche di gestione. Solo così investire sulle tartufaie produce reddito all’azienda agricola».
Tra i bandi di prossima pubblicazione nel Csr Marche 2023-2027 sulla tartuficoltura è previsto un fondo di 1,7 milioni di euro con un contributo pari all’80% della spesa ammissibile di 13mila euro ad ettaro a sostegno dell’analisi e della lavorazione del terreno, dell’acquisto e messa a dimora di piante certificate e della recinzione. La Regione, inoltre, ha istituito un “Tavolo permanente di filiera sul tartufo” per rilanciare l’immagine del tartufo con rappresentanti dell’Assemblea legislativa, delle associazioni dei tartufai, dei tartuficoltori, dei trasformatori e commercianti, dei Centri sperimentali, delle associazioni agricole e delle Unioni montane.
In assenza di perturbazioni, si stima che un ettaro di nero pregiato (200 – 400 piante) può produrre da 60 a 80 chili di tartufo mentre da un ettaro di nero estivo (400 – 500 piante) si può ricavare perfino 200 kg. Considerando le quotazioni è facile calcolare il ritorno degli investimenti, purché si sia ben consapevoli che la tartufaia va coltivata come un frutteto.
Per Fabrizio Cerasoli della Direzione generale Agricoltura della Regione «il sostegno nel Csr Marche 2023-2027 mira a nuovi impianti e a sostenere quelli già realizzati con i precedenti interventi» Perché le tartufaie hanno delle finalità produttive e preziose funzioni ecosistemici in quanto incrementano l’assorbimento e lo stoccaggio del carbonio atmosferico, migliorano la conservazione della biodiversità, dei suoli, dell’equilibrio idrogeologico; garantiscono la presenza di aree forestali di elevato valore naturalistico.
Le tartufaie, felici e redditizie soluzioni agro-forestali da abbinare in un censimento come lo sta facendo la Toscana. «Per meglio individuare gli “habitat selettivi” – ricorda l’esperto Gianluigi Gregori, ex direttore del Centro di Sant’Angelo in Vado – e quindi imporre accorgimenti come lasciare un margine con i terreni coltivati, regimentare le acque superficiali per non interferire nel reticolo del sito; vietare i mezzi che distruggono le connessioni tra gli alberi e le formazioni vegetali».
- 3600 HA di tartufaie coltivate
- 13 mila cercatori tesserati
- 50-60 Tonnellate prodotte, pari al 21/25% della produzione italiana di cui:
- 15/20 Ton. di Tuber magnatum Pico (che equivale al 40% della raccolta del Bianco in Italia ma, nel 2012, rappresentava quasi il 70%)
- 10/12 Ton. di Tuber melanosporum (pregiato)
- 23/25 Ton. di Tuber aestivum/uncinatum
- 2/3 Ton. di Tuber borchli (bianchetto)