Trattori, paternalismo e il più grande dei servizi ecosistemici

Attualità

di Pasqualino Santori
Presidente IBV-A
(Istituito di Bioetica per la Veterinaria
e l’Agroalimentare)

Passata qualche settimana, aspettando le prossime e la fine dei lavori agricoli più intensi, cose che potrebbero far cambiare idea, non possiamo dire altrimenti: la protesta dei trattori è stata un fallimento pratico.

Senza entrare nei tanti e diversi specifici, sono state ottenute piccole cose che era talmente di buonsenso chiedere che non si sarebbe neanche dovuto farlo dopo l’esperienza di pandemia, guerra, alterazione dei commerci e il conseguente evidente rischio di insicurezza alimentare nel senso duplice di safety e security.

Le richieste erano tante, probabilmente non tutte giuste, ma nell’insieme difficili da far capire se non con tempo dedicato e attenzione che il mondo degli agricoltori, a meno di agriturismi e cocktail bordo piscina non riesce a ottenere.

Qualche dubbio dovrebbe esser sorto sulla “mania” di dirigismo pianificatore che è prevalso anche in Europa negli ultimi anni con la sua somiglianza ai piani quinquennali sovietici. Soprattutto perché le pianificazioni centralizzati di per se illiberali non sono affatto utili alle sagge scelte ambientali, economiche e sociali che si vorrebbero perseguire. Anzi il principio del “glocal” pensa globale e attua locale prevederebbe politiche agricole diverse e vera condivisione dei destini “comuni” tra produttori di cibo (agricoltori, animali e ambiente agricolo) e consumatori con i loro ariflessivi regimi di vita.

Allora qualche riflessione generale forse utile alle stesse organizzazioni agricole per le loro politiche future.

Le manifestazioni dei trattori sono state spontanee, multicentriche, contemporanee, in tutto il mondo (decisamente europeiste visto che gli agricoltori europei hanno solidarizzato malgrado i mercati spesso li mettano in concorrenza), hanno raccolto l’immediata e genuina solidarietà della cittadinanza al di là della comprensione delle richieste oggettivamente tante e diverse.

Ma la numerosità delle tante e diverse richieste è frutto di incapacità nell’organizzare il linguaggio, o può avere un’altra origine?

Potrebbe essere dovuta alla stratificazione di problemi in lunghissimi periodi storici.

La storia delle rivolte contadine è lunghissima trascurata dagli storici e magari potrebbe essere utile a porsi il problema.

“L’eccesso dei guai rende muti” diceva Foscolo e probabilmente la sommatoria di poca considerazione e di grossi problemi economici dell’immediato rende difficilmente comunicativi.

Ma di fondo c’è da considerare che il malessere è diffuso ovunque e forse non più gestibile per spiegare la davvero fuori dal comune contemporanea, spontanea, multifocale e mondiale (tanto da superare il terzomondismo) insorgenza delle manifestazioni, pacifiche e condivise d’impulso da gran parte dei cittadini.

Al contrario il mondo intellettuale che si considera più evoluto ha fatto considerazioni diverse o di quel ruralismo datato ma sempre buono se ci si ricorda degli studi giovanili senza essersi aggiornati o di quel superiore istinto pianificatore che permette di ricoprire i ruoli più prestigiosi nella società.

In ogni caso sono stati paternalistici.

Non si ascolta perché si pensa di sapere già tutto… “d’altra parte che farà mai di così particolare un agricoltore che non saprei fare anche io con le mie competenze manageriali…”,”prendono talmente tanti soldi pubblici…”, ”con quei trattori così grandi e con quello che costano…”, ”ma come fanno a non capire che il green deal è proprio per loro?” ecc ecc

Il vero problema è il paternalismo verso il mondo degli agricoltori, comunque sempre contadini anche se con proprietà gigantesche, perché la distanza non è solo di esperienza di vita è proprio di comprensione di un mondo in cui natura e biologia sono reali non solo viste attraverso la mediazione culturale di documentari o inchieste televisive.

Forse si dovrebbe aver chiaro che quello che serve è il rispetto, forse solo quello.

Il rispetto, quella forma di attenzione che permetterebbe di capire problemi che riguardano buona parte della umanità, tra l’altro la più povera, quella veramente indispensabile e che procura il cibo per tutti, non solo le eccellenze.

Fatto questo sforzo di comprensione magari si potrebbe capire, senza dipingere monumenti, che il green deal con tutte le nuove prospettive di sviluppo equo e sostenibile ha già una narrazione da seguire se si comprendono le ragioni degli agricoltori.

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