Tutelare l’Oliva Ascolana DOP dalle contraffazioni

Consorzio di tutela e associazioni di categoria chiedono al Ministero più controlli
Attualità

Venti anni fa, nel 2005, veniva pubblicato nella Gazzetta Europea il Decreto che riconosceva la DOP Oliva Ascolana del Piceno, sia l’oliva verde in salamoia che quella farcita di carne.

La vera Oliva Ascolana del Piceno DOP

Ed in occasione di questo anniversario, il Consorzio Tutela e Valorizzazione dell’Oliva Ascolana del Piceno DOP e le associazioni CIA, Coldiretti, Confagricoltura e Copagri hanno rivolto un forte appello al Ministero dell’Agricoltura affinché sia dato seguito all’importante lavoro avviato dai Carabinieri Forestali nel giugno dello scorso anno relativo al corretto uso dei nomi nelle etichette delle olive presenti in commercio.

Infatti, la parola “ascolana” – e ogni suo richiamo anche parziale o storpiato – può essere utilizzata
soltanto nelle etichette delle olive certificate come DOP. Tecnicamente si chiama illecita “evocazione” di una Denominazione di Origine Protetta. Chi la pone in essere riceve sanzioni pecuniarie, come è avvenuto per la prima volta nel giugno scorso ad opera dei Carabinieri.

Le olive ascolane fatte con la varietà DOP del Piceno

Nella lettera a firma di Primo Valenti per il Consorzio Tutela Oliva Ascolana del Piceno DOP, Matteo Carboni per la Cia, Giordano Nasini per la Coldiretti, Tommaso Ciriaci per Confagricoltura e Gian Luigi Silvestri per Copagri, si ricorda che “le parole tutelate sono quelle che hanno un riferimento geografico, quindi nel caso di specie qualsiasi richiamo ad Ascoli o all’Ascolano/a (oltre che al Piceno). Il Ministero dell’Agricoltura – evidenziano i firmatari – si è fortemente impegnato nella tutela delle altre DOP, anche nelle fasi contenziose che si sono protratte per tutti i gradi di giudizio sino in Cassazione. Si pensi ai casi delle recenti sentenze di Cassazione sulla tutela del ‘Prosciutto di Modena DOP’ e sul ‘Pecorino Sardo’ nei quali il Ministero ha avuto posizioni granitiche ritenendo illecita evocazione delle due DOP rispettivamente ‘la Culatta di Modena’ e il ‘Pecorino da tavola Pastore del Tirso Sapore Sardo’.

La esperienza maturata nei ‘primi’ venti anni di questa DOP – viene ricordato – la più nota della Regione Marche e anche più popolare della Regione stessa come emerso da studi di settore, porta anzitutto a rimarcare e biasimare la riluttanza che sino ad oggi il tessuto politico ed imprenditoriale ha avuto nel comprendere il valore aggiunto che invece è rappresentato:

1) dal segmento agronomico-economico della coltivazione in campo dell’oliva ascolana finalizzata ad ottenere oliva da salamoia, con tutto quanto connesso in termini di formazione della manodopera specializzata e aumento del valore degli oliveti (si pensi al caso “Valdobbiadene);

2) dal segmento della deamarizzazione delle olive in chiave di sostenibilità ambientale, con riduzione del consumo di acqua e senza utilizzo di sostanze inquinanti, patrimonio già acquisito grazie alla ricerca e innovazione tecnologica degli esperti locali del settore.

La filiera composta da questi ‘segmenti’ ad oggi è ostacolata e bloccata dalla confusione dei nomi nei prodotti messi in vendita, posto che nel prodotto generico, cioè non certificato DOP, viene abusivamente utilizzato il richiamo alla parola ‘ascolana’, disperdendo così proprio il valore aggiunto e dunque la sua maggiore remunerazione, che il riconoscimento ‘DOP’ offre solo quando viene mantenuto l’indissolubile legame del prodotto agricolo trasformato con la provenienza geografica protetta. Dopo venti anni di errori – conclude la nota – perseverare sarebbe davvero diabolico e autolesionistico”.

 

Tags: contraffazioni, in evidenza, Oliva Ascolana DOPO

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