Un crac che impone discontinuità. È la lettura che il vino marchigiano fa della crisi di Terre Cortesi Moncaro oggi commissariata. Una lettura che ha dominato l’incontro sul tema “Rilanciare il polo vitivinicolo marchigiano” organizzato dal comitato “Amici di Moncaro” a Jesi. In cattedra, le maggiori cantine delle Marche; in platea, l’eurodeputato Carlo Ciccioli per ascoltare e riferire i pareri alla Regione.

«Moncaro – interviene Michele Bernetti dei vini Umani Ronchi e presidente dell’Istituto Marchigiano Tutela Vini– non può essere presentato come l’unico motore del vino marchigiano, ma il crac dà l’opportunità di prendere atto di cosa ha portato alla sua debolezza estrema dal punto di vista commerciale e di rivedere la capacità commerciale tecnica della cooperativa. Questo ci consentirà di sviluppare un futuro progetto che vada nell’interesse del comparto. Ma tutto ciò impone una nuova visione strategica che deve ripartire dalla discontinuità. Non nascondo che più di un produttore teme di rivedere le bottiglie Moncaro sugli scaffali con i prezzi con cui negli ultimi tempi si è presentato sul mercato».
Al dunque, la continuità della prima cooperativa vitivinicola delle Marche non può basarsi sulla stessa politica di prezzi con cui finora ha lavorato recentemente. Di fatto, dai dati di bilancio, questa politica portava sì ad un flusso di cassa, ma non redditizio né per i soci viticoltori (che non stati remunerati per tre stagioni), né per il brand stesso. E, soprattutto, ha penalizzato il Verdicchio dei Castelli di Jesi, confinando il vino più premiato in assoluto al livello mondiale su un posizionamento di prezzo in generale troppo basso rispetto al reale valore del prodotto.
«Dobbiamo, quindi, impostare un progetto Moncaro – insiste Bernetti – dove mantenere il legame con il territorio considerando i volumi di produzione, ma non necessariamente impedire che alla guida dell’azienda intervengono capacità professionali e commerciali che potrebbero anche essere esterne alla nostra regione e lavorare insieme con la Regione ad una strategia affinché siano riconosciuti il valore e la filosofia produttiva delle nostre filiere».

Il valore di ogni interesse all’interno della filiera. Il vulnus del sistema evidenziato da tempo dall’esperto internazionale Federico Castellucci, titolare dell’omonima azienda di famiglia a Montecarotto, oltre che presidente di Confagricoltura Marche. Per dieci anni è stato a capo dell’Organizzazione Internazionale della vigna e del vino a Parigi. «È necessario – spiega – adottare una linea che stabilizzi in qualche modo i prezzi minimi dell’uva al fine di garantire un reddito decente al viticoltore». A dargli l’assist l’avvocato Marasca della cantina Marasca Rossi. Dai suoi conti risulta che ci vogliono tra 7.500 e 8.000 euro per gestire un ettaro di vigneto e, con una resa di 120 quintali, coprire i costi impone un prezzo di 62 euro a quintale d’uva per rendere sostenibile il lavoro del viticoltore.
«Dobbiamo – incalza Castelluci – fare in modo che ogni livello della filiera sia più etica in quanto economicamente e socialmente sostenibile e per farlo dobbiamo tenere in conto la catena del valore; realtà come la nuova Moncaro debbono tenere in buon conto gli interessi di ciascun gradino della filiera, in primis il viticoltore, e a cascata l’intero comparto evitando di uscire sul mercato con prodotti sottocosto che squilibrano il mercato, l’immagine del Verdicchio e la leale concorrenza».

Altro vulnus, evidenziato da Lorenzo Marotti di Marotti Campi di Morro d’Alba, il fatto che le Marche del vino non sono state capaci di penetrare commercialmente i mercati e di creare quella “familiarità” intorno a vini marchigiani, motore degli acquisti e delle rotazioni. «Non siamo stati nemmeno aiutati – precisa – dalla “familiarità” indotta dal turismo come avviene per molte zone d’Italia. È emblematico che pur ricevendo da anni turisti in prevalenza olandesi,non abbiamo nemmeno un collegamento aereo diretto con l’Olanda. Tuttavia – aggiunge – ho fiducia nel cambio generazionale, sono arrivati giovani dinamici e pronti con la valigia a lavorare sull’export». Ma a fare breccia è la sua proposta di valorizzare il vero asset della Moncaro della Moncaro ossia la cantina con «attrezzature all’avanguardia che spesso noi piccoli produttori ci sogniamo» per farne anche un polo conto-terzista di dealcolizzazione. «Un mercato – riconosce Marotti Campi – assolutamente di nicchia che, sicuramente, non risolve la tempesta perfetta che sta travolgendo il mercato del vino mondiale ma è una risposta alla crescente domanda che vede altre regioni già in movimento».