La sostenibilità è ormai un mantra costantemente ripetuto in ogni ambito, soprattutto in quello agricolo. Fra i vari modi con cui il settore primario può contribuire al raggiungimento di tale obiettivo rientra anche la ricerca e lo sviluppo in campo vitivinicolo partendo dai vitigni c.d. resistenti (o Piwi dal tedesco pilzwiderstandfähig, letteralmente “viti resistenti ai funghi”). Un’attività in cui le Marche si posizionano fra le regioni più all’avanguardia grazie al lavoro svolto da Regione e, soprattutto, dall’agenzia Amap sotto il coordinamento del dott. Giuseppe Camilli.
“I lavori di sperimentazione sono stati avviati nel 2015 al fine di valutare il comportamento e l’adattabilità sul territorio di varietà resistenti in grado di tollerare le principali avversità fungine (oidio e peronospora)” ricorda a Marche Agricole Camilli.
“Il progetto è stato avviato presso i campi sperimentali dell’AMAP di Petritoli (FM) dove sono state messe a confronto ben 39 varietà di vite resistenti derivanti dalla vivace attività di breeding della ricerca italiana ed internazionale. Seppure lo scopo principale dell’attività fosse concentrato sulla verifica dell’effettiva resistenza alle malattie fungine nei nostri areali, sono stati effettuati numerosi altri controlli che hanno riguardato anche gli aspetti fenologici, vegetativi, produttivi e qualitativi. Sono state inoltre effettuate delle microvinificazioni di ciascuna varietà e tutti i vini prodotti sono stati sottoposti ad analisi chimica e sensoriale.”
Un’indagine articolata quindi, che fin dai primi anni ha mostrato risultati incoraggianti: buoni livelli di resistenza agli attacchi fungini ed adattabilità ai nostri areali delle piante. Anni di studio a seguito dei quali la Regione Marche ha proceduto all’autorizzazione alla coltivazione di 12 varietà resistenti “in osservazione” alle quali se ne sono poi aggiunti altre che nel frattempo erano state introdotte nel registro nazionale delle varietà di vite del MASAF.
“La maggioranza delle varietà resistenti oggi disponibili sono state ottenute tramite incrocio naturale utilizzando vitigni di sangue internazionale. Per questa ragione la Regione Marche ha finanziato un nuovo progetto di miglioramento genetico al fine di ottenere nuove varietà resistenti più rappresentative del territorio marchigiano” continua Camilli il quale, a tal proposito, ricorda anche il progetto di collaborazione fra AMAP e la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (TN): “Un programma decennale di breeding che parte da vitigni autoctoni quali Verdicchio, Pecorino, Montepulciano e Passerina e che nei prossimi anni ci potrà consentire di ottenere nuove varietà resistenti, qualitativamente più vicine alle varietà tipiche locali, magari dotate di maggiore resilienza nei confronti della variabilità climatica”.
Nelle Marche, interessate da un’importante superfice di viticoltura biologica, l’utilizzo di piante selezionate ed in grado di resistere maggiormente alle avversità fungine potrebbe consentire una significativa riduzione delle quantità di rame per ettaro a beneficio dell’ambiente nel rispetto dei limiti imposti dalla normativa. Il minor ricorso agli interventi fitosanitari porterebbe anche ad una conseguente riduzione dei costi di produzione nonché alla contemporanea maggior tutela della salute dell’utilizzatore e del consumatore.
Tale diffusione, però, come sottolinea lo stesso Camilli, dovrà necessariamente passare anche da alcune modifiche di carattere normativo: “Ad oggi l’utilizzo delle varietà di vite resistenti a livello nazionale è molto eterogeneo. La loro coltivazione è ammessa solo in una minoranza di Regioni che nella generalità dei casi sono ancora classificate tra quelle in “osservazione”. Con questo status è possibile produrre solo vini generici mentre non è possibile utilizzarle per produzioni ad indicazione geografica e di origine controllata al contrario di quanto ha già regolamentato l’Unione Europea (Regolamento (UE) n. 2021/2117) e così come sta avvenendo in numerose regioni viticole (Es. Francia, Germania, ecc.).”