Vivaismo: nelle Marche un’offerta diversificata

Oltre 700 le aziende agricole specializzate su piante in vaso o in zolla
Attualità
di Veronique Angeletti

Vale circa il 4 % il vivaismo nel Pil agricolo italiano, 65 miliardi di euro nel 2020 ed è un settore particolarmente resiliente. La pandemia insegna: il comparto ha subìto all’inizio un calo di 66 milioni rispetto al 2019, ma presto si è risollevato. Perché le perdite in questo settore sono “differenziate”, ossia vanno collegate alla “mission” delle imprese. Ad esempio, se i fiori recisi e le piante fiorite hanno patito dello stop alle cerimonie e alle ricorrenze (con il primo lockdown il 60% delle produzioni sono andate al macero), ad inizio estate chi produceva davvero piantine, forte della domanda in crescita per la cura dei balconi, degli orti e dei giardini è riuscito in parte a recuperare e, in autunno, tanti vivai di piante produttive ed ornamentali hanno addirittura riconquistato il fatturato perso nei primi sei mesi dell’anno. E ciò perché il vivaismo è un comparto che vanta una resilienza a geometria variabile.

RESILIENZA – Invidiabile è quella marchigiana. Riguarda 727 aziende agricole così distribuite: 31% nell’ascolano, 22% nel pesarese, 20% nel maceratese, 14,5% nell’anconetano e 10,5% nel fermano. Un settore che ha subìto l’aumento dei costi di produzione. Dell’energia per riscaldare le serre, del carburante per il trasporto ma anche del costo dei fertilizzanti derivati dal metano, delle materie plastiche per i vasi, gli imballaggi. Addirittura, del terriccio aumentato del 170%. Composto per metà di torba bionda proveniente dalla Lituania e dall’Estonia, affidato di solito ad autotrasportatori ucraini, adesso irreperibile. Un problema che ha investito tutti i vivai delle Marche, regione che non è leader ma si distingue per la sua offerta diversificata di piante in vaso e in zolle e ciò per merito di peculiari zone climatiche che, poco umide e ventilate, non favoriscono le muffe e garantiscono ottime rese senza fitofarmaci.
Il caso dell’Alto Montefeltro è emblematico. Il Comune di Peglio, 650 metri slm, nell’arco di tre decenni è diventato un polo di aziende produttive di piante ortive e di fiori in vaso e recisi che riforniscono fiorai e garden store di Marche, Umbria ed Emilia-Romagna.

L’antesignano è Eliseo Londei che iniziò con le piante da orto e stimolò figli e parenti a creare altre aziende che adesso occupano una superficie coperta di 12mila metri quadri e danno lavoro ad una trentina di persone. Od ancora a Frontino, 620 metri slm, l’azienda agricola “Il Sorbo” di Antonio Santini specializzata in antichi alberi da frutto tipici dell’Appennino umbro marchigiano e romagnolo. Coltiva circa 350 specie di cui 110 tipi di meli, 98 peri ma più di tutto specie “dimenticate” come cornioli, nespoli, sorbi, azzeruoli. Confessa che non ha mai lavorato così tanto. Per i privati ma più di tutto per agricoltori che, stimolati dal Psr, hanno convertito i terreni in frutteti. Ha impiantato almeno 30 ettari di viscioleti tra il 2019 e il 2021.

Poi, ci sono le Marche dal clima mite sfruttato per piante rare. Come Mirco Bagaloni con l’Az. Ag. “Tropico del Conero” a Sirolo dedicata alle piante mediterranee e subtropicali. Vanta un’offerta di palme, aloe e agave che ne fa una meta per appassionati. Seppur rimpiazzare i teli in plastica delle serre quest’anno richiede un budget enorme, non frena gli investimenti. Propone banani ed eucaliptus “made in Marche” più resistenti. Il suo contributo alla sostenibilità e la risposta al caro energia e alla guerra che mettono in crisi gli scambi globali.

 

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